12 agosto 2018

FODERA: una storia che attraversa molti secoli



La "Femme à l'ombrelle" [1] di Monet (qui in un particolare), che appare su un altura fiorita, con le vesti agitate da un colpo di vento, esprime meglio di qualsiasi altra definizione la leggerezza della fodera, quando essa era la ricca protagonista dell'abbigliamento e viveva di luce propria in una sua dimensione emozionale di grande leggiadria. La fodera di bianca crinolina diviene un sogno virtuale su cui si riflettono i colori della natura, in un gioco di mimetismo che si fonde nella rarefatta atmosfera dell'effimero, dell'attimo fuggente che però allude al desiderio di una sensuale eleganza, attesa e percepita sulla propria pelle. 


[1] Femme à l'ombrelle (Donna con l'ombrello) è un dipinto di Claude Monet, che si trova al Musée d'Orsay, Parigi - olio su tela, cm. 131 x 88 


UN PO' DI STORIA

La fodera nasce come appannaggio esclusivo delle classi ricche, in tempi in cui la ricchezza coincideva con la qualità della vita.

Quasi tremila anni prima di Cristo (2700 a.C.) solo i dignitari dell'Impero Celeste in Cina potevano  permettersi il "doppio" di seta, regale anche nei colori del blu notte, dell'oro fiamma e dell'azzurro. Il costo del lavoro non era (come oggi) un problema e guadagnavano poco quelle migliaia di mani frenetiche ed esperte che facevano la "trattura" del filo di seta dal baco. Insomma il "vestito da sotto", la "sottoveste", era roba da ricchi: non solo decorativa ma anche carezzevole sulla pelle.

Quando più tardi, e da un'altra parte del mondo, San Francesco volle dare alla povertà  il senso di un vero disagio corporale e quotidiano, impose a sè stesso e ai suoi confratelli ruvide vesti ad un solo tessuto, che avevano quasi un contatto abrasivo sulla pelle. 

In Grecia, 1700 a.C., l'elegante tunica detta "pazienza", leggera e molto ampia, aveva come "interior" un cilindro di lana a forma di colonna corinzia, che aderiva al corpo riparandolo dai rigori della stagione invernale. I Sibariti della Magna Grecia fecero della "pazienza" una bandiera di alto rango, rigorosamente in seta, tratta dai bachi delle colture di gelso di S. Marco Argentano.

I Romani, 500 a.C., diciamo la verità, guerrieri e conquistatori del mondo allora conosciuto, non indulgevano molto alla moda del vestiario. Quando però Roma diventa "imperiale", entrano nel costume la "toga", con il sottabito di lana e la "stola", foderata di seta a colori sgargianti, che era comunque vietata alle puttane professioniste e ancora di più alle dilettanti colte in fragranza di reato. Ma il pensiero fisso dei Romani è stato sempre quello di distinguersi: solo chi era "Romano de Roma" poteva indossare  l'abiliamentum prezioso, ricco ed ostentativo, mentre ai Romani "di provincia, cioè ai "burini", come si dice oggi, era riservato il paludamentum, povero ed essenziale.

Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, tutto l'abbigliamento, come altre manifestazioni sociali, si intona ad una generale disadornità. Le tuniche opulente perdono ogni sottostruttura (interior). Ma l'influenza degli splendori di Bisanzio rimette in circuito il lusso: le fodere policrome che rivestono i manti dell'imperatrice Teodora e lo sticharium dell'alto clero della Chiesa Cattolica Romana tornano in auge ed esplode la fodera di "pelle d'angelo", una combinazione straordinaria di trama e ordito in lino e seta. 
   
Quando più tardi, ma come abbiamo visto lo era in parte anche in passato, San Francesco volle dare alla povertà  il senso di un vero disagio corporale e quotidiano, impose a sè stesso e ai suoi confratelli ruvide vesti ad un solo tessuto, che avevano quasi un contatto abrasivo sulla pelle. 

In tempi relativamente recenti (XV secolo) il termine fodera entra nei "vocaboli" conosciuti, mutuato dalla terminologia marinara che lo usava riferendosi al rivestimento della chiglia delle navi per proteggerle dalla salsedine del mare.

Successivamente le donne delle classi opulente più che vestirsi "si arredano" con sovrastrutture coniche, a tamburo, a clessidra (siamo nel 1600); ciò costringe la fodera ad un adeguamento anche di tipo tecnologico: occorrono fodere speciali, indeformabili o addirittura con imbottitura di ovatta per poter reggere le armature ed evitare al corpo dolorose conseguenze.

All'inizio dell'Ottocento si chiarisce l'incerto confine che finora è stato tra tessuti per vestiti e tesuti per fodere. Fino ad allora la fodera non era solo funzionale ma ostentativa. L'Ottocento è il grande secolo della moda, mette in prima piano la fodera, tanto che anche il "cardigan" di maglia pesante è rigorosamente foderato di chiffon di seta.

La fodera è sempre stata di grande importanza nella confezione di abiti, in particolare di quelli maschili, sia per la vestibilità del capo sia per l'apparenza. Inizialmente si usava l'alpagà, un tessuto di cotone e lana di alpaca delle Ande, commercializzata dagli Inglesi e rimasta insuperata per decenni. Più tardi furono introdotte le sete tinte in filo nelle varie esecuzioni e cioè taffettà, saglie, satin, surah, rasoni come fodere per il corpo e i vari ermesini per le maniche delle giacche, mentre facevano eccezione i paletò ai quali erano riservati rasi rigati dai vivaci colori chiamati Manchester.

La seta pura lasciò poi il posto ai tipi misti, in particolare seta e Bemberg, poi tutta Bemberg, ma sempre tinta in filo, infatti il tinto in pezza non ha mai avuto una applicazione di rilievo, se si fa eccezione per la velutina o il satin liberty di seta schappe, fodera preferita dai sarti fiorentini.

Inizialmente la fodera era tessuta in altezza di 70 centimetri, la manica in 50 centimetri. L'ammodernamento delle fabbriche nel secondo dopoguerra comportò l'introduzione dei telai in doppia altezza, così la fodera fu prodotta in 140 cm. e la manica in 100 cm., misure che sussistono tuttora.

Curiosa è la definizione che ne da il "Commentario Dizionario Italiano della Moda" di Cesare Meano - Ed. Ente Nazionale delle Moda (1936) dove si fa rifermento alla voce Soppanno, designandola in questo modo: "Soppanno"- È voce antica e non comune per designare il tessuto che sta sotto il panno, cioè la fodera. (Firenzuola: Costolle il panno solo più di dodici lire, senza il soppanno e gli orli, la balzana e la manifattura, che le costò un tesoro). Più comune è soppanno per intendere la fodera delle scarpe. Comunque potremmo dire soppannare, in luogo del francese doubler, che è molto usato fra sarti e le loro clienti".  Certo l'intento dell'autore è chiaro, in tempo di autarchia quello di favorire l'uso di termini italiani, sostituendoli a termini internazionali proveniente da altre lingue (in particolare, trattandosi di moda, Francia).





Nel "Tondo Doni" [2] di Michelangelo la morbida fodera fa velo ad un'ideale bellezza al femminile che si confonde con la figura maschile.


[2] L'opera è conservata nella Galleria degli Uffizzi a Firenze, ed è databile al 1506-1508. Si tratta di un dipinto a tempera su tavola, con diametro di cm 120.    


FODERA IN PELLICCIA

Anche se non è un tessuto questa breve "storia della fodera" sarebbe ancor più incompleta se non si trattasse, con un capitolo apposito, anche della pelliccia usata come fodera interna, probabilmente per sopperire alla mancanza di riscaldamento delle case. 

Alla corte di Bisanzio sembra si usasse indossare una sopravveste (detta «alla bulgara») con lunghe maniche e fodera in pelliccia. Nel 808 il roccum, come quasi tutti i mantelli ha fodera in martora o lontra. Oppure, se meno costosi, in ermellino e zibellino. Nel 1100 a Venezia il mantello, foderato in pelliccia di montone, prenderà il nome di «endremidum». Anche la guarnacca e il guarnazzone, grazie allo loro preziosa fodera divennero capi di abbigliamento importanti: a Treviso venivano confiscati dai funzionari del Comune a coloro che non potevano far fronte ai propri debiti. Foderati in pelliccie pregiate anche i cappucci (1200).

Nel corredo di Eleonora, sposa di Federico II d'Aragona nel 1305, compaiono tre mantelli: uno con fodera di ermellino e due in vaio, come lo era la cappa per cavalcare in sciamito rosso, foderata in vaio [08], sembra appartenuta ad Eleonora, figlia di Carlo d'Angiò. alla fine del secolo, nel giorno della sua incoronazione, Gian Galeazzo Visconti indosserà un mantello foderato in vaio.

Nel 1400 la pellanda sarà in pelliccia o seta, visibile all'orlo e alle maniche come nel secolo seguente, sarà il robone con pelliccia visibile al collo e ai polsi. Dalla fine del 1500 le fodere in pelliccia saranno affiancate da quelle in seta. Nei due secoli successivi, per sopravvesti, toghe, mantiglie, ecc., alla fine del 1700, nell'abbigliamento maschile la fodera in pelliccia si estenderà anche alle vesti da camera, ai tabarri e ai vestiti alla polacca, visibile al collo e ai polsi. Nel XIX secolo utilizzata per la doglietta se priva di imbottitura, la pellegrina.

Foderati e orlati in pelliccia anche i brodequins, tipici stivaletti femminili del 1840 e, alla fine del secolo, spesso foderata in pelliccia anche la «rotonda». Usata ancora oggi, spesso sintetica o ecologica per cappotti, impermeabili, guanti, scarpe, ecc. oppure pelli con il pelo all'interno. 
      


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