3 maggio 2016

Canapa: storia di una fatica contadina


Ecco una "storia" della coltivazione della canapa nelle campagne bolognesi, ormai di molti decenni fa che quindi si tinge di nostalgia "Nustalgî dla campâgna".  

Lavorazione della canapa a Molinella (BO), 1950


Il lavoro del contadino era gravoso in ogni stagione dell'anno. Con l'estate il lavoro diventava frenetico; come è confermato anche dal modo di dire in dialetto bolognese "Al màis d'agast e quall d'setamber i fân andèr l'ômen ed sgalamber".   Trattamenti alle viti, sfalcio dei prati e dei medicai e mietitura del grano, fatta, fino agli anni trenta, tutta a mano con la falce messoria (sàgguel). La stessa legatura dei covoni veniva fatta a mano.

Il più gravoso, ma anche il più qualificante, tra tutti i lavori del contadino era, quello che riguardava la canapa. In sintesi, i lavori richiesti dalla pianta tessile erano questi. Aratura profonda, erpicatura, concimazione di base, semina , almeno due sarchiature, concimazioni di superficie, taglio (si faceva a mano con un piccolo attrezzo detto "tajen" (falce da canapa) formazione dei manipoli adagiati a spina di pesce, rivoltatura dei manipoli per l'essicamento, loro sbattitura per distaccare foglie ed infiorescenze, formazione di grosse pile coniche e "tiratura". Questa importantissima operazione veniva fatta ponendo sottili strati di steli essiccati su di un cavalletto alto circa mezzo metro e largo tre metri. Gli steli venivano battuti alla base con una spatola in modo da pareggiarli, tanto che, tirandoli per la cima, si potevano formare dei manipoli composti da steli tutti della stessa lunghezza. Con questi, venivano formate manelle del diametro di circa quindici centimetri. Con dieci "manelle" si formava il mezzo fascio che veniva legato con steli di canapa verde e poi unito ad un altro mezzo fascio, disponendo le cime e le basi di ciascuno in senso opposto in modo da ottenere un fascio della stessa larghezza alle due estremità. Ogni fascio, quindi, aveva steli della stessa lunghezza che davano fibre di lunghezza omogenea, cosa importantissima per la commercializzazione.

La macerazione veniva fatta in maceratoi che potevano essere di due tipi: a sassi o a pali. Ponendo un cero numero di fasci legati assieme si formavano "zattere" o "postoni". Per mantenere le zattere sommerse si caricavano di sassi - nei maceri a sassi - oppure si tenevano ferme con travi orizzontali, nei maceri a pali. Secondo il tipo di acqua, più o meno fresca, e l'andamento stagionale (il caldo accelerava ed il freddo ritardava) la macerazione durava da sei a nove giorni. Uno stesso macero veniva di regola usato per due macerazioni successive. A volte, ma non era consigliabile, se ne faceva una terza se il prodotto era molto abbondante.

Un'operazione molto importante, ma faticosa, era la lavatura delle manelle precedentemente slegate dai fasci. Venivano sbattute ripetutamente sull'acqua e, quindi, nuovamente legate quattro a quattro e poste ad asciugare in piccole piramidi. Una volta asciugate venivano caricate sul carro e portate nella corte ove, riposte sotto un portico, rimanevano in attesa della scavezzatura. Questa, in tempi antichi, veniva fatta tutta a mano. Verso la metà dello scorso secolo un contadino bolognese, certo Bernagozzi, fece un'invenzione sensazionale (per quei tempi): "la scavzadaura" (scavezzatrice). Era formata da un pancone sul quale giravano e battevano delle "mazzuole" mosse da un maneggio azionato da buoi.

Questa macchina innovatrice venne, poi, sostituita da macchine metalliche a cilindri contrastanti, azionate da locomotive (mâchina da fûgh).

Le manelle venivano assortite in mazzole secondo i tipi di tiglio; di solito venivano classificati in "cordami", "bassi" e "gargioli".

Parte del tiglio veniva filato e tessuto in casa a formare i famosi "tursi" (rotoli), che riposti nella "câsa" di noce, formavano elemento essenziale del corredo delle spose.

Per imbiancarle, le tele venivano esposte alla rugiada notturna stese sul prato del macero.



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CANAPA

Quando la canapa si comincia a tagliare la pecora è buona da mangiare.

Canapa, lino, lenta (lenticchia) prima semenza (prima semina primaverile). Il proverbio è relativo alla Valdinarco (comuni di Sant'Anatolia di Narco, Vallo di Nera - provincia di Perugia).

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