CANOTTA | CANOTTIERA

Retroformazione da canottiera, il cui termine deriva dal francese canotière, e come tutti i derivati di «canotto» è un francesismo accettato anche nella lingua italiana.

Maglietta unisex senza maniche, che è in tempi recenti diventato un capo di una certa importanza che la si indossi come biancheria intima sotto la camicia, o come capo d'abbigliamento orgogliosamente in bella mostra; nell'intimo, abitualmente coordinato con lo slip; ha scollo rotondo e ampio, simile alla canottiera, ma di solito colorata anche se prevale il bianco e nero, a coste o anche rasata, da indossare come capo esterno, non cioè sotto la camicia o la camicetta. Può portare l'etichetta esterna in evidenza. Generalmente è in maglia (di solito in jersey di cotone o nell'intimo in lana fuori e cotone sulla pelle), spesso con elastan per aumentare l'aderenza. 
 

Il ragazzo incontra la ragazza
Erin Wasson | © Mario Testino - fotografo moda  


Realizzata in numerose varianti, la canotta nella versione femminile classica, è a spalla larga e può avere inserti in pizzo o ricami e la scollatura arricchita da inserti di pizzo, ricami e fiocchetti.

Per sfoggiarla come capo d'abbigliamento esterno serve molta personalità, ma vi regala una libertà... ma attenzione a far sì che non si trasformi 
in motivo di anarchia estetica.

È anche l'indumento indossato nel basket e nell'atletica leggera insieme ai calzoncini corti spesso materiale sintetico (per resistere ai lavaggi).




Il termine inglese Tank top deriva dai primi modelli di costume da bagno senza maniche. Un tempo la piscina era indicata con il termine tank, non pool, e il costume da bagno si chiamava tank suit, declinato in tank top, per indicare solo il sopra. 

Il termine francese
Débardeur rinvia ai "débardeur" ossia gli operai addetti alle operazioni di scarico. Gli scaricatori di porto furono tra i primi a indossare le canottiere.
Altro termine francese che indica la canottiera è Marcel.
La storia ci riporta al 1860, quando Napoleone III decise di riqualificare l’immenso mercato di Les Halles, trasformandolo da un mercato all’aperto ad uno al coperto. Dopo questa trasformazione, le migliaia di uomini e lavoratori che erano impegnati a scaricare la merce fresca in notti fredde e umide, necessitavano di un capo specifico e funzionale. Avevano bisogno di libertà di movimento sulle braccia, ma anche di un capo che li proteggesse dall’umido e dalle correnti d’aria. Ed è stato così che uno di loro si ingegnò, indossando una maglia di lana senza maniche. Da quel momento, in tutto il mercato di Les Halles, gli operai iniziarono ad usare questa pratica maglia senza maniche. Le voci di questa novità giunsero fino alla Loira, più precisamente a Roanne  dove aveva sede il maglificio Marcel diretto da Marcel Eisenberg che decise sull’onda di questa nuova tendenza di produrre in modo industriale la canottiera.


🇫🇷  Francese: Débardeur | Marcel 🇬🇧 Inglese: Tank top | vest 🇩🇪 Tedesco: Tank-Top 🇪🇸  Spagnolo: Camiseta.

STORIA - Come suggerisce il nome, la maglia scollata senza maniche nasce in ambito sportivo, più precisamente nel canottaggio. Nel XX secolo è stata adottata come indumento da lavoro.

Per molti anni la canottiera è stata solo un indumento intimo per gli uomini (per le signore esisteva lingerie più raffinata) che non aveva nessuna funziona estetica.
Indossata da molti uomini sotto la camicia, portata dai più muscolosi durante tutta l’estate per esibire pettorali perfetti, la canottiera è entrata ufficialmente anche nel guardaroba femminile per diventare un capo d’abbigliamento sexy.


Sportmax 2021 


Negli anni Settanta, la funzione della canottiera cambiò radicalmente perché, in un periodo di libertà e cambiamenti, “indossare un capo di biancheria intima non al di sotto dei comuni vestiti era visto come un'espressione sovversiva di ribellione contro la società conservatrice e come parte della moda subculturale”, spiega Cally Blackman, professoressa di storia del costume presso la Central Saint Martins e autrice di numerosi libri.

Dietro questo indumento si celano anni di evoluzione sociale con una storia socialmente complessa e marchiata da numerosi cliché che tuttora gli ruotano attorno. Come scrive Stefano Bucci:
«È stata prima il simbolo di eroi popolari e magari un po' burini che, proprio sotto la loro canottiera, mostravano muscoli a misura di cantiere, di palestra o di ring. Poi, a partire  da quel Jean Paul Gaultier che, negli anni '80, propone l'accoppiata débarder e T-shirt, diventa cult imperdibile (anche a costo di non essere fisicamente a posto) per passerelle più o meno raffinate. Così, un indumento povero, prima condannato in modo inappellabile (specie se occhieggiante sotto una camicia) dalle upper class più snob, viene riscoperto nel nome di una cafonaggine intellettuale ispirata, forse senza motivo, al neorealismo cinematografico.»¹
Le origini culturali del trope narrativo, comunque, risalgono al meridione italiano come viene spiegato nel libro Manly Manners, dove l’autore James Wayne racconta:
«Fu nelle regioni del Sud Italia, come Napoli e la Sicilia, in cui il clima caldo, le difficoltà economiche e il machismo italiano conversero e la canottiera iniziò la sua evoluzione da biancheria intima a indumento. Nel Meridione, un uomo con poche camicie preferiva indossarle per la messa domenicale, per il lavoro e per le occasioni speciali. […] Per uomo del Sud Italia, a prescindere dal fisico, la canottiera è una parte della cultura sartoriale. […] In America, l’uomo con la canottiera (sia italiano che non) rappresentava lo stereotipo dell’immigrato italiano: povero, rozzo, corpulento – anche se esplicitamente sexy».²
Tutto il cinema italiano  del Neorealismo (a partire da Rocco e i suoi fratelli) ha connotato questo indumento come tipico dei bulli, del proletariato e dei contadini. Usata dagli stilisti in abbinamento con pantaloni gessati, o sotto doppiopetti sartoriali, e stata ugualmente utilizzata per l'abbigliamento femminile.

Negli anni 80 arrivò anche in passerella grazie a Jean Paul Gaultier che propose l’inedita accoppiata di t-shirt e canotta, diventando un cult nella moda di quegli anni.

Negli anni 90 altri paladini della canotta furono Dolce & Gabbana che ne proposero una versione più attillata dallo scollo alto per mettere in risalto i pettorali dei modelli mandati in passerella a 40-50 per volta. È
in assoluto il simbolo dello stile "maschile" di Dolce & Gabbana",
che la inserirono in alcuni look della loro collezione maschile Primavera/Estate 1991 facendola apparire l'anno prima nella campagna Autunno/Inverno 1989-90 del brand.


 Primavera/Estate 1991 Dolce & Gabbana


Sfilata Autunno Inverno 2010/2011 Dolce & Gabbana



Guido Vergani - Dizionario della Moda - ed. Baldini Castoldi Editore, voce "Canottiera" firmata da Stefano Bucci
Wayne James - Manly Manner: Lifestyle & Modern Etiquette for the Young Man of the 21st Century - ed. Iuniverse Inc, 2016 (Lingua inglese).


Rames Gaiba
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BIKINI

Dal nome dell'atollo delle isole Marshall, nel Pacifico, dove gli Stati Uniti avevano attuato nel giugno del 1946 i loro esperimenti nucleari. Termine appartenente al linguaggio internazionale della moda.

Costume da bagno femminile formato da due pezzi separati: una scavatissima culotte (mutandina) e da un esiguo reggiseno. Di solito viene confezionato con stoffe elasticizzate che sottolineano le forme del corpo. Le varianti (sgambato, scollato o castigato) sono infinite. Il reggiseno può essere a fascia, a triangolo, a corsetto, drappeggiato, ecc. Le mutandine, a coda di rondine, a calzoncini, e dagli anni '70 il bikini ha versioni molto scosciate quali lo sting bikini e il tanga. Declinato in ogni possibile variante è palestra di incessante ricerca: tankini, pubikini, trikini, bandini, camikini, chainkini, burkini.

Il termine due pezzi è talvolta considerato più appropriato.

STORIA - Creato nella primavera del 1946 dallo stilista di grido Jacques Heim, che lo chiama Atome, sperando che risulti esplosivo come la bomba H che gli americani avevano fatto esplodere. Ma il 5 luglio dello stesso anno, appena sei giorni dopo il primo esperimento nucleare in quell'atollo, sarà Louis Réard¹ un pressoché sconosciuto stilista francese (ex ingegnere di carrozzerie d'auto) a battezzare il suo audace due pezzi Bikini. In realtà Réard si limitò a "perfezionare" un invenzione che era già in commercio da qualche settimana: un costume a due pezzi creato appunto dallo stilista Hein e pubblicizzato "il costume da bagno più piccolo del mondo", e per questo chiamato Atomo. A Réard non fu facile trovare una modella che avesse il coraggio di sfilare sul bordo delle Piscine Molitor di Parigi con un costume tanto scostumato, e difatti dovette ricorrere a un'avvenente spogliarellista del Casinò de Paris, Micheline Bernardini. Ci vollero alcuni anni perché il bikini fosse ritenuto accettabile per il pubblico pudore: basti pensare che cinque anni dopo la sua nascita nel '51 il due pezzi era ancora proibito al concorso di Miss Mondo. «Dopo lo sconcerto iniziale, a intuire le potenzialità del nuovo indumento arrivò Diana Vreeland, allora temuta caporedattrice di “Harper's Bazaar”. Non appena lo vide, con il suo senso dell'assurdo, Diana esclamò: «Ma questa è la cosa più importante dopo la bomba atomica!» e, incurante dell'imbarazzo provocato in redazione, lo piazzò a tutta pagina sulla sua rivista (indossato da Dovima nel maggio 1947) sancendo il suo ingresso nella storia della moda.»²
  

Comincia a farsi sentire la voglia di maggiore libertà, e così i modelli diventano sempre più sgambati, tanto che in Italia mise in allarme i custodi della pubblica morale: sulle spiagge italiane giravano forze dell'ordine che andavano a misurare i bikini delle bagnanti, assicurandosi che fossero entro i limiti stabiliti. Le “misure” se erano inferiori al lecito portavano a redigere un verbale ed a una multa per oltraggio al pudore.³


Un poliziotto fa un verbale ad una bagnante
per un bikini indossato su una spiaggia di Rimini, 1957


«In Italia e Spagna infatti la morale “bacchettona” del tempo, attentamente sorvegliata da un certo radicato clericalismo, preferirà concedere spazio ai revival, accettando perfino il ritorno della combinazione a mille righe, dimostrando con ciò la veridicità di quella regola della fisica per cui ogni azione genera sempre una reazione “uguale e contraria”. Anche negli emancipatissimi ma altrettanto puritani Stati Uniti, il bikini accettato e portato esclusivamente in privato viene ammesso su spiagge e piscine pubbliche solo agli inizi degli anni Sessanta.». I primi modelli in commercio coprono pudicamente l'ombelico, altro baluardo destinato presto a cadere. Spesso eseguiti all'uncinetto, conservarono, pur nell'inedita rivelazione del nudo, toni e decori naif, chiaramente dedicati alle giovanissime.

Quando si parla del binomio cinema-bikini, si deve necessariamente far riferimento al Dr. No Bikini del 1962, con la Bond Girl per eccellenza, Ursula Andress. Il suo due pezzi avorio con cintura, nel quale tiene infilato un pugnale, indossato dall'attrice in una scena del film, mentre esce dall'acqua, ha lasciato un segno nelle menti di tutti gli spettatori anche col il passare degli anni. La stessa storica scena è stata soggetta di un "remake" che ha visto protagonista Halle Berry che ha indossato un Bikini che sebbene di colore differente, ha lasciato inalterato il fascino della scena. Il Bikini di Ursula Andress, è stato disegnato dalla stessa attrice e dalla costumista Tessa Prendegrass, è il più famoso due pezzi che ha segnato la storia del cinema. 


Ursula Andress nel film “Agente 007 - Licenza di uccidere” del 1962


Non è però il primo da un punto di vista temporale, è stato infatti anticipato da Brigitte Bardot in "Manina, The Girl Without Veil".


Brigitte Bardot nel film “Manina... ragazza senza veli”
               

Oggi, in Occidente, intendendo quei paesi che si richiamano ad una concezione etico-politica ai valori della civiltà e cultura occidentale, il bikini viene tranquillamente sfoggiato in ogni spiaggia, piscina, indossato dalle donne di ogni generazione, dalle bimbe più piccole alle persone adulte. 


Il bikini in realtà è una riscoperta avendo una storia molto lontana. Era comparso anche molto prima, durante il periodo imperiale romano (I - II sec. d.C.), e non serviva per nuotare, perché all'epoca si nuotava nudi. Né serviva per prendere il sole in spiaggia, pratica diventata abituale parecchi secoli dopo. Il bikini era utilizzato soprattutto per l'atletica, la danza e nelle scuole di ginnastica. I primi "due pezzi" della storia sono raffigurati nelle pitture minoiche ed anche indosso alle atlete ed alle ginnaste dei mosaici romani di Piazza Armerina, del IV sec. d.C.  Addirittura, sugli affreschi di un'abitazione di Pompei sono raffigurate fanciulle danzanti, che allietavano l'imperatore Tiberio in vacanza a Capri, indossando una specie di perizoma: il tanga dei nostri giorni (nel I sec. d.C.). Ovviamente non si tratta di veri e propri bikini, ma la loro silhouette gli si avvicina molto.



 

Villa del Casale - Piazza Armerina, Enna, Sicilia
mosaico civiltà romana, IV secolo d.C.


Louis Réard (Lilla, Francia, 1896 - Losanna, Svizzera, 1984)  rilevò l'azienda di lingerie della madre. Réard produsse rapidamente il suo design di costumi da bagno che era un bikini ad archi costituito da quattro triangoli realizzati con soli 30 pollici quadrati (194 cm²) di tessuto stampato con un motivo di giornale. Réard in seguito ha aperto un negozio di bikini a Parigi e ha venduto costumi da bagno per 40 anni.
Sofia Gnoli - L'alfabeto della moda; Ed. Carocci, 2009, voce "Bikini" pag. 27
₃ 
Ad uno di questi controlli incappò Anita Ekberg nel 1956 a Ostia Lido, che per un tanga fu portata in caserma dai Carabinieri dove gli fu sottoposta a verbale e multata per oltraggio al pudore. 

Doretta Davanzo Poli - Costumi da bagno; Ed. Zanfi, 1995, p. 77.
 Il bikini colore avorio di Ursula Andress (anche conosciuto come il Dr. No bikini) è il costume da bagno indossato dall'attrice nel ruolo del personaggio di Honey Ryder nel film "Agente 007 - Licenza di uccidere". Il bikini della Andress è considerato un icona per la storia della moda e del cinema.  Il costume originale nel 2001 è stato battuto all'asta da Christie's per 60.000 sterline.   
₆ da: Bigodino.it - magazine online al femminile, articolo a firma di Mariagrazia Dragone del 11 agosto 2013
Film del 1952  del regista Willy Rozier.    
La fascia di stoffa che copre i seni è chiamata Strophium; il perizoma (parte inferiore) è in lino. 
A Villa del Casale - Piazza Armerina, vengono raffigurate una dozzina di donne che giocano, vestite con bende a coprire il bacino e il seno, senza spalline.   


Rames Gaiba
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PUBBLICITÀ “CENSURATE” NELLA MODA


Con questo post ho inteso far conoscere (solitamente il pubblico medio ne percepisce la sola dimensione commerciale) il valore culturale della comunicazione pubblicitaria insito nella sua capacità di rappresentare valori e modalità espressive della società, e di evidenziare nel contempo la capacità della business community della comunicazione di esprimere un elevato grado di responsabilità sociale.

Quello della moda è un settore in cui, per lungo tempo, la provocazione è stata la via più breve per risaltare e dare uno stile e una riconoscibilità a un brand (si pensi agli esempi più classici delle campagne di Sisley e Benetton negli anni Novanta). Non c’è dubbio che, proprio grazie a questo tipo di campagne, i rispettivi brand abbiano ottenuto notevole visibilità. Lo strumento promozionale, in questo caso, non è il sesso, ma la censura stessa, ed è per questo che io - come curatore del blog - ho scelto di non “censurare” queste pubblicità controverse.

Ogni allusione al sesso serve a svegliare l'attenzione del pubblico, dicono gli esperti della comunicazione. Abbastanza eloquente è la traiettoria del pudore nella pubblicità, dalle censure degli anni Sessanta e Settanta alle immagini non convenzionali di fine Novecento, fino all'abuso del messaggio sessuale, che forse non stupisce più ma dà assuefazione.¹


Nelle campagne pubblicitarie di moda, trionfo di stile, ma spesso anche di corpi in mostra, è delicato e sottile il confine tra empowerment e oggettivazione.²
 Nella pubblicità le immagini della biancheria suggeriscono che gli slip e il reggiseno servano a eccitare chi guarda e non a coprire chi li indossa.


Eva Herzigova - reggiseno Wonderbra, 1994
con lo slogan «Guardami negli occhi»


David Beckham - Emporio Armani underwear, 2017 


United Colors of Benetton: galeotto fu il bacio…

Una pubblicità, questa del bacio a fior di labbra tra prete e suora, che ha scatenato le ire del Vaticano, e di numerose associazioni religiose tra Italia, Francia e Germania. Una mossa furbetta del brand che la censura, sia italiana che d’Oltralpe, non ha potuto non mettere a tacere.     


United Colors of Benetton - Oliviero Toscani (1991)


La collaborazione tra la Benetton e il grande fotografo Oliviero Toscani inizia nel 1982 che in vent'anni³, grazie a una serie di manifesti tra i più discussi nell'intera storia della pubblicità, ne fa una delle marche d'abbigliamento più conosciute al mondo. Giocando sullo slogan "United Colors of Benetton" (Colori Uniti di Benetton), realizza immagini che, al di là di precisi obbiettivi di mercato, affrontano problematiche sociali mai toccate prima d'ora dal mondo della pubblicità commerciale. Le sue affiche affrontano i temi del razzismo, dell'ecologia, del sesso, dell'Aids (memorabili, in proposito, due scatti: quello con la composizione di preservativi colorati sistemati come tanti spermatozoi e quello con il malato terminale che ha le sembianze di Cristo). In questi anni Toscani perfeziona un linguaggio che ha fatto della provocazione un'arte. Attraverso lo scandalo, lo choc, il disorientamento generato dai suoi lavori ha voluto colpire con dura forza il castello di pregiudizi, ipocrisia, perbenismo, malafede ideologica, convenzioni comportamentali - e visuali - dentro al quale è saldamente barricata gran parte dell'opinione pubblica. Questa foto, tutta orchestrata sul contrasto bianco-nero, coglie un bacio casto, ma vibrante di innegabile passione, tra un prete e una suora; nell'interpretazione dell'autore, i due, prima ancora che religiosi, sono innanzi tutto un uomo e una donna. Anche quando sembra che nell'immagine  non ci sia alcun riferimento al prodotto, come in questo caso, esiste sempre una corrispondenza cromatica e simbolica con lo slogan, secondo il quale la gioia del colore abbatte ogni barriera, da quella della pelle a quella di una divisa. Per le campagne Benetton  Toscani ha ricevuto alcuni tra i riconoscimenti più prestigiosi del settore, come il Grand Prix dell'Unesco e il Grand Prix dell'Affichage.


L'ultima cena tutta femminile (2005)
campagna pubblicitaria di Marithé e François Girbaud
foto di Brigitte Niedermasir
 


Quest’immagine, che riprende il Cenacolo di Leonardo in versione tutta femminile, dove però c'erano dodici modelle (alcune delle quali in jeans) in luogo degli apostoli è stata utilizzata qualche anno fa per uno spot per la casa di moda Girbaud. Il gruppo cattolico francese «Croyances et Liberté» li trascinò in tribunale chiedendo il sequestro della pubblicità, e i Girbaud persero la causa in prima istanza, ma vinsero in appello.⁴ All'epoca, siamo nel 2006, venne censurata dal comune di Milano perché ritenuta offensiva nei confronti del sentimento religioso (non è stata certo la prima né sarà temo l’ultima). A parte questo ci sono diversi aspetti curiosi che mi interessa sottolineare:

1) L’affresco di Leonardo ha praticamente creato un paradigma universale di come deve essere rappresentata l’Ultima Cena. Pensateci un attimo: i dipinti che raffigurano questo episodio dei Vangeli sono centinaia, se non migliaia, ma quando qualcuno deve riproporre un’immagine sceglie inevitabilmente quella di Leonardo.

2) Nella fotografia ci sono i concetti di "femminilizzazione" o di ""transgender" in connessione al lavoro dell'artista che ha sostituito gli apostoli e Gesù da donne e la donna (forse "Maria Maddalena"), da un uomo. Guardando la foto ci sono diversi particolari anomali: una mano sotto il tavolo sulla quale è posata una colomba. Una delle “apostole” con tre gambe, e più in generale non tutte le gambe sotto al tavolo sono riconducibili a qualcuno.

3) Il traditore, Giuda, è un uomo a differenza di tutte le altre.

La rivoluzione sessuale e la pubblicità

In passato, il massimo dell'erotismo di solito era affidato alle gambe, lunghe e affusolate, della pubblicità per le calze delle "donnine" di Boccasile, tentato dal nudo non soltanto per la lavanda della Paglieri.  Ma già nel '70 il messaggio si fa più audace con il Carosello per la birra Peroni, con un messaggio che ammicca sensualità
Chiamami Peroni, sarò la tua birra”. Fior di Vite della Ramazzotti, mostrando una bella ragazza, fa scrivere: «Una bionda nel sacco. Bionda naturale, forte e gentile. Un "corpo" morbido, caldo. Un profumo sottile e stimolante. Se vuoi è tua. E' nel sacco fino al collo. Se pensi di essere uomo abbastanza da farti una bionda, prova a fartene due: Fior di Vite - Grappa Stravecchia Ramazzotti». È evidente il doppio senso del termine enologico "corpo".

Si era già pronti alla campagna pubblicitaria della primavera del 1973 dell'Agenzia Italia di Gianni Muccini.


Campagna pubblicitaria Jesus Jeans
Oliviero Toscani e Emanuele Pirella, 1973
 

Questa pubblicità scandalizzò Pier Paolo Pasolini che contestò aspramente lo slogan (non la foto) con una analisi linguistica apparsa il 17 maggio 1973 sul  "Corriere della Sera". Già dal nome "Jesus Jeans" (Jesus, un nome bi-millenario). Il testo, di Emanuele Pirella (un maestro della pubblicità italiana, qui alle prime prove) e Michael Goettsche dell’agenzia Italia, riprende le parole di Cristo "Chi mi ama mi segue" e quelle, adattate, del primo comandamento «Non avrai altro jeans all'infuori di me». In realtà, la frase «Chi mi ama mi segua» non è una citazione dal Vangelo ma un’esortazione pronunciata dal re di Francia Filippo il Bello durante una battaglia. Quella del Vangelo di Matteo dice: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua». L'immagine è di Oliviero Toscani, quarantenne fotografo e creativo la cui storia, da lì a pochi anni, si intreccerà fortemente con quella della comunicazione Benetton.  Erano gli anni Settanta, li produceva un giovane imprenditore, Maurizio Vitale, con i telai del Maglificio Calzificio Torinese (già proprietario del marchio Robe di Kappa), che desidera lanciare i suoi hot pants in tessuto jeans, che battezza Jesus (è il momento del successo mondiale del musical Jesus Christ Superstar). Nella prima foto abbiamo un'immagine raffigurante un personaggio dal sesso dubbio (androgeno) a petto nudo e con i jeans sbottonati che lasciano intravedere in penombra il pube senza biancheria, al limite dei peli pubici; nell'altro, ancor più celebre, le natiche della modella americana Donna Jordan, semicoperte da short particolarmente succinti. 




L' “Osservatore Romano” è ovviamente indignato, e a Palermo il pretore Vincenzo Salmeri, celebre per le sue lotte al bikini sulle spiagge, sequestra il manifesto della zip che parafrasa il primo comandamento ed è "chiaramente contrario al buon costume in riferimento alla legge 12 dicembre 1960 n. 1591, e costituisce vilipendio anche alla religione". Pure il Giurì del Codice di lealtà pubblicitaria nel 1974, condanna la campagna sulla base dell'art. 2 del codice (che proibisce le situazioni "che secondo il gusto e la sensibilità correnti, debbono ritenersi volgari o ripugnanti").



Tasca disegnata sul gluteo
(miss Levi's, agenzia Young & Rubicam)


Nel 2008 Oliviero Toscani ha deciso di riproporre questa seconda idea, lievemente modificata, per la campagna pubblicitaria del quotidiano l'Unità.  In questo ultimo caso il "lato B" è quello della figlia di Oliviero Toscani.




Da: "Scritti corsari",  Ed. Garzanti (1975) Pier Paolo Pasolini scrive:

" [...]   Coloro che hanno prodotto questi jeans e li hanno lanciati nel mercato, usando per lo slogan di prammatica uno dei dieci Comandamenti, dimostrano - probabilmente con una certa mancanza di senso di colpa, cioè con l’incoscienza di chi non si pone più certi problemi - di essere già oltre la soglia entro cui si dispone la nostra forma di vita e il nostro orizzonte mentale. 

C’è, nel cinismo di questo slogan, un’intensità e una innocenza di tipo assolutamente nuovo, benché probabilmente maturato a lungo in questi ultimi decenni (per un periodo più breve in Italia). Esso dice appunto, nella sua laconicità di fenomeno rivelatosi di colpo alla nostra coscienza, già così completo e definitivo, che i nuovi industriali e nuovi tecnici sono completamente laici, ma di una laicità che non si misura più con la religione. Tale laicità è un “nuovo valore” nato nell'entropia borghese, in cui la religione sta deperendo come autorità e forma di potere, e sopravvive in quanto ancora prodotto naturale di enorme consumo e forma folcloristica ancora sfruttabile. 

Ma l’interesse di questo slogan non è solo negativo, non rappresenta solo il modo nuovo un cui la Chiesa viene ridimensionata brutalmente a ciò che essa realmente ormai rappresenta: c’è in esso un interesse anche positivo, cioè la possibilità imprevista di ideologizzare, e quindi rendere espressivo, il linguaggio dello slogan e quindi presumibilmente, quello dell’intero mondo tecnologico. Lo spirito blasfemo di questo slogan non si limita a una apodissi, a una pura osservazione che fissa la espressività in pura comunicatività. Esso è qualcosa di più che una trovata spregiudicata (il cui modello è l’anglosassone “Cristo super-star”): al contrario, esso si presta a un’interpretazione, che non può essere che infinita: esso conserva quindi nello slogan i caratteri ideologici e estetici della espressività. Vuol dire - forse - che anche il futuro che a noi - religiosi e umanisti - appare come fissazione e morte, sarà in un modo nuovo, storia; che l’esigenza di pura comunicatività della produzione sarà in qualche modo contraddetta. Infatti lo slogan di questi jeans non si limita a comunicarne la necessità del consumo, ma si presenta addirittura come la nemesi - sia pur incosciente - che punisce la Chiesa per il suo patto col diavolo. L’articolista dell'"Osservatore" questa volta sì è davvero indifeso e impotente: anche se magari magistratura e poliziotti, messi subito cristianamente in moto, riusciranno a strappare dai muri della nazione questo manifesto e questo slogan, ormai si tratta di un fatto irreversibile anche se forse molto anticipato: il suo spirito è il nuovo spirito della seconda rivoluzione industriale e della conseguente mutazione dei valori".


Sisley






Nel 2003, Sisley lancia la sua campagna con protagonisti un toro e modelli. Del toro, vediamo appena le corna; la modella lo guarda con desiderio. 



In un'altra immagine vediamo, sempre, appena le corna del toro ed un modello con i jeans abbassati.


C’è un parallelismo fra l’energia sessuale femminile e maschile e l’animale da combattimento. Sarà proprio questo parallelismo a scatenare le controversie nei confronti di questa campagna.


Dolce & Gabbana


Questo spot di Dolce & Gabbana fu censurato in Spagna,

e non sono mancate le polemiche anche in Italia (marzo 2007) 


Calvin Klein Jeans

Lo stilista americano fondatore dell’omonimo marchio è famoso per lo stile minimal e  ha lasciato un segno nella moda degli ultimi 30 anni: quelle a cui tutti lo associamo, più o meno inconsapevolmente, sono le pubblicità estremamente sensuali e provocatorie e l’aver plasmato l’idea di bellezza ed erotismo degli anni Novanta. 

Scrive Vanessa Friedman, la critica di moda del New York Times, che
«Nessuno ha saputo sfruttare il sesso meglio di Calvin Klein. In un’epoca precedente a internet ha costruito un’azienda di successo in tutto il mondo sulla potenza di immagini incredibilmente provocatorie. Le sue campagne pubblicitarie furono virali prima ancora che esistesse il concetto, montando sulla marea dell’indignazione e dell’ossessione per l’aspetto fisico».


La serie CK della collezione autunno-inverno 1995 fu criticata per la campagna pubblicitaria  1995, realizzata dal fotografo Steven Meisel. Infatti i modelli sembravano molto giovani e per questo Calvin Klein dovette dimostrare che si trattava di persone maggiorenni.


Censura in USA per lo spot del 2010, sempre realizzata da Steven Meisel. 
Molti vi videro una scena di sesso di gruppo.


Calvin Klein colpisce ancora la sensibilità (o forse dovremmo scrivere "il senso del pudore") della tv commerciale americana.




 
Questa pubblicità del 2010 in Australia è stata bloccata
perché l'immagine della modella Lara Stone seminuda e contornata da modelli uomini
sembravano rappresentare uno stupro di gruppo.


La campagna pubblicitaria porta la firma di Steven Meisel e si caratterizza per la sua qualità video "granulosa" ed è stato vietato in America. La campagna ha come modelli: Anna Jagodzinska, Anna Selezneva, Natasha Poly, Edita Vilkeviciute, Carson Parker, Danny Schwarz, Vladimir Ivanov e il nuovo volto Mikus Lasmanis con indosso i loro Calvins.

Gucci 

Tom Ford: ritratto del fashion designer regista, perfezionista ma empatico, sofisticato, glamour e con un senso assoluto del design e del sex appeal.È famoso per aver sostituito il minimalismo dei primi anni ’90 con pubblicità “che trasudava sex appeal” e per rinvigorire Gucci con la sua “immagine giovanile e sessualmente carica”.

Negli annali sacri della moda anni Novanta: Campagna Gucci Primavera/Estate 1997 con il perizoma logato che oggi è un pezzo vintage cult. E ovviamente anche da uomo.





Nel 2003 la campagna pubblicitaria per la collezione Primavera/Estate di Gucci, voluta da Tom Ford, stilista  e direttore creativo, proponeva la fotografia di un giovane inginocchiato davanti ad una donna. Il ragazzo guarda la modella (Carmen Kass) con lo slip a metà gamba e il pube rasato in modo da evidenziare una lettera “G” simile al logo Gucci. Il Giurì ha censurato (l'immagine fu vietata praticamente ovunque) il messaggio perché sostiene che la lettera rasata sul pube è quasi un marchio e Il corpo viene quindi equiparato, ad un qualsiasi prodotto griffato e, come tale, mercificato.


Gucci by Tom Ford, 2003
foto: Mario Testino


Questa pubblicità di Gucci mostra una donna che giace sul "grembo di un uomo" [L'espressione è qui usata in modo metaforico, perché non esiste nel senso anatomico o biologico del termine - N.d.C.] con la mano posizionata sul suo sedere. Pur contribuendo a rafforzare l’oggettivazione delle donne, ci sono anche messaggi nascosti al di là di questo. Il modo in cui sono vestiti crea un senso di disuguaglianza tra i sessi: la donna indossa un vestito molto corto e stretto con un sacco di trucco brillante che la fa sembrare come se potesse essere stata presa da un angolo di strada mentre l'uomo indossa un vestito molto bello che potrebbe indossare a una posizione di CEO in una società Fortune 500. La posizione della donna crea il messaggio che è sottomessa e meritevole.


Gucci by Tom Ford, 2003
foto: Mario Testino


«Di Tom Ford mi avevano sempre colpito l’ossessione per l’immagine e la cura dei dettagli, dalla scelta del make up all’andatura dei modelli, sfrontati, languidi o romantici secondo l’ispirazione e lo stile della collezione. Un erotismo sottile e quel “non so che” di sofisticato decadentismo che mandava in visibilio stampa e buyer. Epico il suo addio da Gucci nel 2004, fra petali di rose bianche, pubblico in delirio e singhiozzi delle tantissime fan del bel tenebroso che consideravano un divo.». Così scrive Mariella Milani.


Marta Boneschi - Il comune senso del pudore; Ed. il Mulino, 2018, p. 165
Elena Fausta Gadeschi - “La censura della campagna di Calvin Klein con Fka Twigs fa discutere”; Pubblicato su Elle, 12/01/2024. Empowerment è l'insieme di azioni e interventi mirati a rafforzare il potere di scelta degli individui e ad aumentarne poteri e responsabilità, migliorandone le competenze e le conoscenze. (voce da vocabolario Treccani - Dizionario di Economia e Finanza (2012).
La collaborazione tra Oliviero Toscani e Benetton ha avuto due periodi principali. Il primo, il più famoso, si è svolto tra il 1982 e il 2000, e ha visto Toscani creare campagne pubblicitarie innovative e provocatorie per il marchio. Il secondo periodo è iniziato nel 2017, con il ritorno di Toscani per affrontare il tema dell'integrazione, ma si è interrotto nel 2020 a causa di alcune dichiarazioni controverse. «Quello di Oliviero Toscani (1942 - 2025) è senza dubbio uno dei nomi che ha maggiormente rappresentato il cambiamento della comunicazione pubblicitaria. Le pubblicità rivoluzionarie della Benetton hanno contribuito a far diventare il brand di "moda democratica" un fenomeno mondiale riconosciuto, riaffermando il concetto fondante del Gruppo: United Colors di Benetton no solo in riferimento all'armonia tra le tinte dei capi di abbigliamento ma anche come pacifico accordo fra le razze umane. Anticonformista e provocatore, Toscani ha lavorato con famosi giornali e griffe, e il suo "shockvertising"[termine anglosassone che nasce dalla fusione delle parole Shock (letteralmente: urto, impressione violenta, scossa) e Advertising (cioè pubblicità), ed è impiegato per definire quelle réclame in grado di creare un forte impatto emotivo nei destinatari, spesso utilizzata per veicolare messaggi di utilità sociale - N.d.C.] è stato esposto nei musei d'arte più noti.» (Candy Valentino - Ceoworld Magazine). 
Remo Guerrini - Bleu de Gênes; Ed. Mursia, 2009, p. 142
₅ Questo scritto è stato pubblicato il 17 maggio 1973 sul "Corriere della Sera" con il titolo "Il folle slogan del Jeans Jesus". Pasolini, in sintesi, diceva che questo "slogan" fatto per impressionare in realtà è mostruoso perché è legato agli stereotipi e gli stereotipi sono la negazione della libertà, della espressività. Pasolini si riferisce qui ai "Jeans Jesus" pubblicizzati ai suoi giorni con lo slogan "non avrai altro jeans all'infuori di me".
il Post - Cosa ha cambiato Calvin Klein; articolo non firmato, 19 novembre 2017.
Fashion Beginners - Tom Ford, bio del fashion designer perfezionista re del glamour; 29 agosto 2021. 
₈ Mariella Milani, giornalista e critica di moda, con la sua tipica scelta di parole sempre calzanti e significative lo descrive così nel suo ultimo libro: Fashion Confidential, Quello che nessuno vi ha mai raccontato sul mondo della moda; Ed. Spearling&Kupfer, 2021.


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Rames Gaiba
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