BIKINI

Dal nome dell'atollo delle isole Marshall, nel Pacifico, dove gli Stati Uniti avevano attuato nel giugno del 1946 i loro esperimenti nucleari. Termine appartenente al linguaggio internazionale della moda.

Costume da bagno femminile formato da due pezzi separati: una scavatissima culotte (mutandina) e da un esiguo reggiseno. Di solito viene confezionato con stoffe elasticizzate che sottolineano le forme del corpo. Le varianti (sgambato, scollato o castigato) sono infinite. Il reggiseno può essere a fascia, a triangolo, a corsetto, drappeggiato, ecc. Le mutandine, a coda di rondine, a calzoncini, e dagli anni '70 il bikini ha versioni molto scosciate quali lo sting bikini e il tanga. Declinato in ogni possibile variante è palestra di incessante ricerca: tankini, pubikini, trikini, bandini, camikini, chainkini, burkini.

Il termine due pezzi è talvolta considerato più appropriato.

STORIA - Creato nella primavera del 1946 dallo stilista di grido Jacques Heim, che lo chiama Atome, sperando che risulti esplosivo come la bomba H che gli americani avevano fatto esplodere. Ma il 5 luglio dello stesso anno, appena sei giorni dopo il primo esperimento nucleare in quell'atollo, sarà Louis Réard¹ un pressoché sconosciuto stilista francese (ex ingegnere di carrozzerie d'auto) a battezzare il suo audace due pezzi Bikini. In realtà Réard si limitò a "perfezionare" un invenzione che era già in commercio da qualche settimana: un costume a due pezzi creato appunto dallo stilista Hein e pubblicizzato "il costume da bagno più piccolo del mondo", e per questo chiamato Atomo. A Réard non fu facile trovare una modella che avesse il coraggio di sfilare sul bordo delle Piscine Molitor di Parigi con un costume tanto scostumato, e difatti dovette ricorrere a un'avvenente spogliarellista del Casinò de Paris, Micheline Bernardini. Ci vollero alcuni anni perché il bikini fosse ritenuto accettabile per il pubblico pudore: basti pensare che cinque anni dopo la sua nascita nel '51 il due pezzi era ancora proibito al concorso di Miss Mondo. «Dopo lo sconcerto iniziale, a intuire le potenzialità del nuovo indumento arrivò Diana Vreeland, allora temuta caporedattrice di “Harper's Bazaar”. Non appena lo vide, con il suo senso dell'assurdo, Diana esclamò: «Ma questa è la cosa più importante dopo la bomba atomica!» e, incurante dell'imbarazzo provocato in redazione, lo piazzò a tutta pagina sulla sua rivista (indossato da Dovima nel maggio 1947) sancendo il suo ingresso nella storia della moda.»²
  

Comincia a farsi sentire la voglia di maggiore libertà, e così i modelli diventano sempre più sgambati, tanto che in Italia mise in allarme i custodi della pubblica morale: sulle spiagge italiane giravano forze dell'ordine che andavano a misurare i bikini delle bagnanti, assicurandosi che fossero entro i limiti stabiliti. Le “misure” se erano inferiori al lecito portavano a redigere un verbale ed a una multa per oltraggio al pudore.³


Un poliziotto fa un verbale ad una bagnante
per un bikini indossato su una spiaggia di Rimini, 1957


«In Italia e Spagna infatti la morale “bacchettona” del tempo, attentamente sorvegliata da un certo radicato clericalismo, preferirà concedere spazio ai revival, accettando perfino il ritorno della combinazione a mille righe, dimostrando con ciò la veridicità di quella regola della fisica per cui ogni azione genera sempre una reazione “uguale e contraria”. Anche negli emancipatissimi ma altrettanto puritani Stati Uniti, il bikini accettato e portato esclusivamente in privato viene ammesso su spiagge e piscine pubbliche solo agli inizi degli anni Sessanta.». I primi modelli in commercio coprono pudicamente l'ombelico, altro baluardo destinato presto a cadere. Spesso eseguiti all'uncinetto, conservarono, pur nell'inedita rivelazione del nudo, toni e decori naif, chiaramente dedicati alle giovanissime.

Quando si parla del binomio cinema-bikini, si deve necessariamente far riferimento al Dr. No Bikini del 1962, con la Bond Girl per eccellenza, Ursula Andress. Il suo due pezzi avorio con cintura, nel quale tiene infilato un pugnale, indossato dall'attrice in una scena del film, mentre esce dall'acqua, ha lasciato un segno nelle menti di tutti gli spettatori anche col il passare degli anni. La stessa storica scena è stata soggetta di un "remake" che ha visto protagonista Halle Berry che ha indossato un Bikini che sebbene di colore differente, ha lasciato inalterato il fascino della scena. Il Bikini di Ursula Andress, è stato disegnato dalla stessa attrice e dalla costumista Tessa Prendegrass, è il più famoso due pezzi che ha segnato la storia del cinema. 


Ursula Andress nel film “Agente 007 - Licenza di uccidere” del 1962


Non è però il primo da un punto di vista temporale, è stato infatti anticipato da Brigitte Bardot in "Manina, The Girl Without Veil".


Brigitte Bardot nel film “Manina... ragazza senza veli”
               

Oggi, in Occidente, intendendo quei paesi che si richiamano ad una concezione etico-politica ai valori della civiltà e cultura occidentale, il bikini viene tranquillamente sfoggiato in ogni spiaggia, piscina, indossato dalle donne di ogni generazione, dalle bimbe più piccole alle persone adulte. 


Il bikini in realtà è una riscoperta avendo una storia molto lontana. Era comparso anche molto prima, durante il periodo imperiale romano (I - II sec. d.C.), e non serviva per nuotare, perché all'epoca si nuotava nudi. Né serviva per prendere il sole in spiaggia, pratica diventata abituale parecchi secoli dopo. Il bikini era utilizzato soprattutto per l'atletica, la danza e nelle scuole di ginnastica. I primi "due pezzi" della storia sono raffigurati nelle pitture minoiche ed anche indosso alle atlete ed alle ginnaste dei mosaici romani di Piazza Armerina, del IV sec. d.C.  Addirittura, sugli affreschi di un'abitazione di Pompei sono raffigurate fanciulle danzanti, che allietavano l'imperatore Tiberio in vacanza a Capri, indossando una specie di perizoma: il tanga dei nostri giorni (nel I sec. d.C.). Ovviamente non si tratta di veri e propri bikini, ma la loro silhouette gli si avvicina molto.



 

Villa del Casale - Piazza Armerina, Enna, Sicilia
mosaico civiltà romana, IV secolo d.C.


Louis Réard (Lilla, Francia, 1896 - Losanna, Svizzera, 1984)  rilevò l'azienda di lingerie della madre. Réard produsse rapidamente il suo design di costumi da bagno che era un bikini ad archi costituito da quattro triangoli realizzati con soli 30 pollici quadrati (194 cm²) di tessuto stampato con un motivo di giornale. Réard in seguito ha aperto un negozio di bikini a Parigi e ha venduto costumi da bagno per 40 anni.
Sofia Gnoli - L'alfabeto della moda; Ed. Carocci, 2009, voce "Bikini" pag. 27
₃ 
Ad uno di questi controlli incappò Anita Ekberg nel 1956 a Ostia Lido, che per un tanga fu portata in caserma dai Carabinieri dove gli fu sottoposta a verbale e multata per oltraggio al pudore. 

Doretta Davanzo Poli - Costumi da bagno; Ed. Zanfi, 1995, p. 77.
 Il bikini colore avorio di Ursula Andress (anche conosciuto come il Dr. No bikini) è il costume da bagno indossato dall'attrice nel ruolo del personaggio di Honey Ryder nel film "Agente 007 - Licenza di uccidere". Il bikini della Andress è considerato un icona per la storia della moda e del cinema.  Il costume originale nel 2001 è stato battuto all'asta da Christie's per 60.000 sterline.   
₆ da: Bigodino.it - magazine online al femminile, articolo a firma di Mariagrazia Dragone del 11 agosto 2013
Film del 1952  del regista Willy Rozier.    
La fascia di stoffa che copre i seni è chiamata Strophium; il perizoma (parte inferiore) è in lino. 
A Villa del Casale - Piazza Armerina, vengono raffigurate una dozzina di donne che giocano, vestite con bende a coprire il bacino e il seno, senza spalline.   

RIFERIMENTO LETTERARIO  
Con disappunto, con rabbia, ricordava d'aver battagliato in città per ottenere un “costume” che a una sua amica, come lei diciannovenne, aveva procurata in altra spiaggia una piccola multa: piccola, e tuttavia da vergognarsene per tutta la vita. E quelli aveva riso. Ancor oggi se ne vantava, avendo, diceva, mutato spiaggia e perfino mare, ché in Italia non ne abbiamo. Iddio laudato, uno solo. Credeva davvero lei che modernità fosse, con altre cose, nudità.

Marino Moretti
Tutte le novelle; Ed. Arnoldo Mondadori, 1959, da novella “Tutti nudi”


Rames Gaiba
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