Il settore tessile-abbigliamento ha trovato a Reggio Emilia uno dei poli più importanti. Merito principale, anche se non esclusivo, è certamente del gruppo Max Mara, l'unico ad aver raggiunto dimensioni economico-finanziarie da grande impresa. Proprio per tali motivi la vicenda umana e imprenditoriale di Achille Maramotti merita di essere raccontata.
Il padre, Giuseppe Maramotti, laureatosi in Lettere nel 1901, dapprima asistente del professor Bertoni, docente di Filologia romanza all'Università di Bologna, aveva lavorato presso l'Università di Friburgo, in Svizzera, prima di diventare direttore dell'Istituto superiore di Chiasso. Dalla Svizzera torna in Italia nel 1926 con la famiglia: la moglie e tre figli. La madre, Giulia Fontanesi, all'epoca poco più che quarantenne, proviene da una famiglia reggiana nella quale le donne (la nonna, Marina Rinaldi, e le due figlie che ha avuto dal matrimonio) hanno avuto un ruolo importantissimo negli equilibri famigliari. Ha la passione per la sartoria, anche se ha alle spalle una formazione scolastica completa, cosa rara all'epoca per le donne del Reggiano. Così, non appena la famiglia si insedia a Reggio, dove il marito insegna francese nella scuola superiore, lei crea una scuola di taglio e confezione, insegnando a disegnare i modelli e ad eseguirli e pubblicando anche qualche opuscolo in materia.
Un episodio importante nel processo di formazione del futuro imprenditore è il soggiorno in Svizzera, a Yverdon, dove rimane quattro mesi lavorando in un piccolo laboratorio dove si confezionavano in serie impermeabili per grandi magazzini. Tornato in Italia, e ultimati gli studi a Parma, dove si laurea nel 1950, ha messo a fuoco l'idea imprenditoriale e ha già pronto addirittura il nome, Max Mara(1). L'anno dopo comincia l'attività vera e propria, costituendo una ditta individuale che porta proprio quel nome: il desiderio dello zio Fontanesi di vederlo continuare a lavorare alla Cremeria Emiliana è ormai lontano. Maramotti inizia nel 1951, prendendo due operaie che si erano formate alla scuola di taglio e cucito della madre e utilizzando un paio di stanze proprio dentro la scuola. I modelli sono quelli presi dalle riviste di moda americane come «Harper Bazaar». La piccola azienda comincia così, imitando un tailleur e due paltò, tre modelli in tutto.
La realtà del settore della confezione da donna era molto arretrata in Italia a quel momento. E' vero che il settore tessile era stato alla base del processo di industrializzazione italiana, ma è ancora più vero che la produzione di abbigliamento, localizzata nelle aree storiche dell'insediamento tessile, per lo più indirizzata alla confezione artigianale di capi su misura (2), si basava prima del secondo conflitto mondiale sul lavoro di circa una trentina di aziende di medie dimensioni, localizzate prevalentemente nel triangolo industriale. E poiché le condizioni della domanda si mantenevano abbastanza stabili e la varietà degli articoli richiesti era piuttosto limitata, le strutture produttive di medie dimensioni risultavano le più adatte a soddisfare le esigenze del mercato a prezzi competitivi (3).
Con le lotte sindacali del 1969-70 si apre una fase nuova. Se di Maramotti i più avvertiti hanno cominciato ad accorgersi verso il 1962-63, quando comincia a comperare qualche palazzo di «rappresentanza» nel centro storico, il suo nome diventa di dominio pubblico sia in città che a livello nazionale per la fermezza che dimostra nelle vertenze sindacali. La contrattazione collettiva porta ad alcuni risultati a livello nazionale in apero contrasto con le pratiche in uso alla Max Mara. In particolare i nuovi contratti di lavoro del 1969 introducono il cottimo di gruppo, ma Maramotti comincia a costruire il nuovo mito dell'imprenditore dal pugno di ferro nei confronti dei sindacati non adottando la nuova normativa contrattuale. Le lotte aziendali sono molto acute in certi momenti, ma la manodopera sembra, per la gran parte, stare dalla parte dell'imprenditore. Maramotti diventa un «caso» anche tra gli imprenditori, poiché nel 1973 ritira la delega alla Confindustria nella contrattazione nazionale, accusando esplicitamente i vertici di categoria di arrendevolezza nei riguardi della controparte sindacale.
Sede Max Mara del 1957 a Reggio Emilia |
Il settore tessile-abbigliamento ha trovato a Reggio Emilia uno dei poli più importanti. Merito principale, anche se non esclusivo, è certamente del gruppo Max Mara, l'unico ad aver raggiunto dimensioni economico-finanziarie da grande impresa. Proprio per tali motivi la vicenda umana e imprenditoriale di Achille Maramotti merita di essere raccontata.
Il padre, Giuseppe Maramotti, laureatosi in Lettere nel 1901, dapprima asistente del professor Bertoni, docente di Filologia romanza all'Università di Bologna, aveva lavorato presso l'Università di Friburgo, in Svizzera, prima di diventare direttore dell'Istituto superiore di Chiasso. Dalla Svizzera torna in Italia nel 1926 con la famiglia: la moglie e tre figli. La madre, Giulia Fontanesi, all'epoca poco più che quarantenne, proviene da una famiglia reggiana nella quale le donne (la nonna, Marina Rinaldi, e le due figlie che ha avuto dal matrimonio) hanno avuto un ruolo importantissimo negli equilibri famigliari. Ha la passione per la sartoria, anche se ha alle spalle una formazione scolastica completa, cosa rara all'epoca per le donne del Reggiano. Così, non appena la famiglia si insedia a Reggio, dove il marito insegna francese nella scuola superiore, lei crea una scuola di taglio e confezione, insegnando a disegnare i modelli e ad eseguirli e pubblicando anche qualche opuscolo in materia.
Giuseppe Maramotti muore nel 1939, quando Achille sta per cominciare gli studi superiori. Finita la guerra Achille si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza di Parma nel 1945. Lo zio Giuseppe Fontanesi, che segue da vicino la famiglia Maramotti dopo la morte del padre, amministratore delegato della Cremeria Emiliana di Cavriago, una delle più importanti società del settore lattiero-caseario, convince il giovane Maramotti a trasferirsi a Roma per seguire la vendita di burro e formaggio, continuando gli studi universitari nella capitale.
Achille Maramotti
La realtà del settore della confezione da donna era molto arretrata in Italia a quel momento. E' vero che il settore tessile era stato alla base del processo di industrializzazione italiana, ma è ancora più vero che la produzione di abbigliamento, localizzata nelle aree storiche dell'insediamento tessile, per lo più indirizzata alla confezione artigianale di capi su misura (2), si basava prima del secondo conflitto mondiale sul lavoro di circa una trentina di aziende di medie dimensioni, localizzate prevalentemente nel triangolo industriale. E poiché le condizioni della domanda si mantenevano abbastanza stabili e la varietà degli articoli richiesti era piuttosto limitata, le strutture produttive di medie dimensioni risultavano le più adatte a soddisfare le esigenze del mercato a prezzi competitivi (3).
(1) Secondo il suo ideatore, l'idea di questo nome gli venne ricordando quanto gli diceva un insegnante di liceo, secondo il quale si tengono meglio a mente i nomi che hanno la stessa iniziale (testimonianza del dottor Achille Maramotti, 28.3.1997).
(2) La prima azienda industriale a lanciare abiti fabbricati in serie pre-disegnati basati su taglie standard fu, alla fine del 1800, il Gruppo Finanziario Tessile, fondato nel 1865 come Ditta Donato Levi e Figli (cfr. Gruppo GFT, Appunti sull'evoluzione del GFT, GFT, Torino 1989 e A. Camuffo, Caratteri strutturali ed evolutivi delle imprese tessili e dell'abbigliamento italiano, in A. Camuffo, A. Comacchio, Strategie organizzative nel tessile-abbigliamento, Padova 1990, p. 86).
(3) Cfr. G. Pent Fornengo, L'industria italiana dell'abbigliamento, Il Mulino, Bologna 1979, p. 61.
(3) Cfr. G. Pent Fornengo, L'industria italiana dell'abbigliamento, Il Mulino, Bologna 1979, p. 61.
In Italia il passaggio all'abbigliamento «pronto», per ottenere il quale era necessario disporre di moderne strutture in grado di fornire una vasta gamma di prodotti di media qualità ed a costi costanti, si ebbe a partire dagli anni Cinquanta (4). Mentre il modello di produzione che venne prescelto era di chiara matrice americana, le novità relative alle nuove fogge degli abiti rispondono ai primi sentori di quel fenomeno sociale e culturale che si sarebbe chiamato ben presto «moda» (5).
Questi due fattori sono entrambi presenti nell'avvio dell'avventura imprenditoriale di Achille Maramotti, quantomeno nell'idea che stava alla base dell'inizio di tale attività. I primi passi non furono facili. E' vero che nell'Italia dei primi anni Cinquanta mancava la concorrenza, se si escludono un paio di aziende milanesi che tuttavia usavano il sistema del lavoro a domicilio, ma in un certo senso manca anche la clientela, intesa nel senso di dettaglianti disposti a rischiare. O, perlomeno, bisogna andarla a cercare, come fa Maramotti, che riesce a trovare negozi interessati ai suoi modelli, oltre che a Reggio Emilia, a Modena, Bologna, Parma e Brescia, mentre un primo contatto a Roma consente di vendere diversi capispalla presso il Magazzino CIM, uno dei più grandi della capitale.
Questi due fattori sono entrambi presenti nell'avvio dell'avventura imprenditoriale di Achille Maramotti, quantomeno nell'idea che stava alla base dell'inizio di tale attività. I primi passi non furono facili. E' vero che nell'Italia dei primi anni Cinquanta mancava la concorrenza, se si escludono un paio di aziende milanesi che tuttavia usavano il sistema del lavoro a domicilio, ma in un certo senso manca anche la clientela, intesa nel senso di dettaglianti disposti a rischiare. O, perlomeno, bisogna andarla a cercare, come fa Maramotti, che riesce a trovare negozi interessati ai suoi modelli, oltre che a Reggio Emilia, a Modena, Bologna, Parma e Brescia, mentre un primo contatto a Roma consente di vendere diversi capispalla presso il Magazzino CIM, uno dei più grandi della capitale.
Nel 1952, visto il successo della prima stagione, Maramotti decide di ampliare l'attività. Compera un garage nel centro storico di Reggio Emilia, in piazza San Lorenzo. Nei 150 metri quadrati, suddivisi su due piani, lavorano già una quarantina di dipendenti, che aumentano fino a una sessantina nel 1955. In quell'anno avviene il primo salto di qualità. Il suocero di Maramotti (si era sposato nel 1952) Adelmo Lombardini, regala alla figlia un ex stabilimento nel quale si fabbricavano calze in viale della Stazione. Nei 3.000 metri quadrati coperti la Max Mara dà già lavoro ad oltre 220 dipendenti, ma lo sviluppo dell'azienda è ancora più impetuoso di quanto si potesse sperare e ben presto anche questo impianto si rivela insufficiente. I rapporti di parentela - e non certo una qualsiasi a Reggio Emilia - sono fondamentali anche rispetto ad altre vicende, che peraltro non hanno in quei anni alcuna rilevanza per l'attività industriale di Maramotti. Da qualche anno, infatti, egli è consigliere d'amministrazione della Cassa di Risparmio di Reggio Emilia, una scelta doppiamente politica, se così si può dire, essendo Maramotti genero di Lombardini (la condizione determinante a sentire l'interessato) e iscritto alla Democrazia Cristiana.
(4) Cfr.; S. Mariotti, Efficienza e struttura economica: il caso tessile-abbigliamento, Angeli, Milano 1982.
(5) Ente Italiano Moda, La moda nell'economia italiana, Torino 1975; G. Marangoni, Evoluzione storica e stilistica della moda, SMC, Milano 1986; A. Black, M. Garland, Storia della moda, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1986; G. Dorfles, La moda della moda, Costa&Nolan, Genova 1988; S. Grani, A. Vaccari, S. Zannier, La moda nel secondo dopoguerra, Clueb, Bologna 1992; R. Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana, Einaudi, Torino 1995.
(5) Ente Italiano Moda, La moda nell'economia italiana, Torino 1975; G. Marangoni, Evoluzione storica e stilistica della moda, SMC, Milano 1986; A. Black, M. Garland, Storia della moda, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1986; G. Dorfles, La moda della moda, Costa&Nolan, Genova 1988; S. Grani, A. Vaccari, S. Zannier, La moda nel secondo dopoguerra, Clueb, Bologna 1992; R. Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana, Einaudi, Torino 1995.
Nel frattempo Achille Maramotti ha già intrapreso la strada di una diversa forma di commercializzazione dei propri prodotti. Nel 1953 apre a Roma il primo negozio, rilevando quello di un cliente inadempiente, ma per evitare problemi con la clientela della stessa piazza evita di operare sotto il proprio marchio. Nel 1957 il negozio passa a un suo collaboratore, ma l'idea iniziale è ormai affinata e da quell'anno in poi in occasioni analoghe alla prima Maramotti si comporta alla stessa maniera: rileva i negozi, ma la loro gestione comincia ad essere centralizzata in un'apposita società creata dall'industriale reggiano e denominata Maxima.
Nel 1957 Maramotti effettua il primo «viaggio di formazione» negli Stati Uniti, un Paese nel quale la produzione su larga scala del «pronto-moda» è una realtà da diversi decenni. L'influenza americana si fa sentire soprattutto per il modo con cui egli affronta il problema della morfologia del corpo della donna italiana, che presenta ancora diversità molto grandi dal Nord al Centro al Sud del Paese in relazione a ceppi etnici, abitudini alimentari mescolate al diverso progresso civile e sociale. Infatti, se è a Parigi ed ai suoi couturiers che Maramotti guarda per le tendenze della moda, egli cerca nei suoi modelli dell'epoca una mediazione, un filtro americani, soprattutto per quanto riguarda la vestibilità. Ma dagli Stati Uniti arriva anche l'idea di una vera e propria industrializzazione del processo in fabbrica, le cui linee vengono definite da una delle due ragazze con le quali l'imprenditore reggiano era partito: nello stabilimento viene montato un sistema di nastri trasportatori a ritmo, azionati elettricamente, che rispettano la scomposizione dei tempi e delle diverse operazioni per la confezione di un capospalla (taglio, davanti, schiena, fodere, maniche, collo).
Nel 1956 viene avviata la costruzione di un nuovo moderno stabilimento sulla Via Emilia (ora è sede della raccolta d'arte contemporanea Collezione Maramotti - http://www.collezionemaramotti.org/it/Home-Page ), alle porte di Reggio Emilia, in direzione di Parma, nel quale quel sistema possa essere implementato in maniera ottimale. La scelta si rivela esatta, come è dimostrato dal bilancio del 1959, che registra 70 milioni di Lire di utili. Negli anni del «miracolo economico» il settore del tessile-abbigliamento comincia a decollare, mentre lentamente cominciano a scomparire i sarti che lavorano su misura. Nel 1960, infatti, in Italia le ditte di confezione erano circa 2.500, ma le tradizionali sartorie erano ancora 57 mila. Bisognerà aspettare la fine del decennio per vedere una realtà totalmente diversa (6). In effetti, altre imprese di tipo industriale sono intanto sorte, soprattutto nel Nord Italia e, in quel periodo, crescono anche più in fretta di Max Mara, facendosi una grossa concorrenza l'una con l'altra.
Nel 1957 Maramotti effettua il primo «viaggio di formazione» negli Stati Uniti, un Paese nel quale la produzione su larga scala del «pronto-moda» è una realtà da diversi decenni. L'influenza americana si fa sentire soprattutto per il modo con cui egli affronta il problema della morfologia del corpo della donna italiana, che presenta ancora diversità molto grandi dal Nord al Centro al Sud del Paese in relazione a ceppi etnici, abitudini alimentari mescolate al diverso progresso civile e sociale. Infatti, se è a Parigi ed ai suoi couturiers che Maramotti guarda per le tendenze della moda, egli cerca nei suoi modelli dell'epoca una mediazione, un filtro americani, soprattutto per quanto riguarda la vestibilità. Ma dagli Stati Uniti arriva anche l'idea di una vera e propria industrializzazione del processo in fabbrica, le cui linee vengono definite da una delle due ragazze con le quali l'imprenditore reggiano era partito: nello stabilimento viene montato un sistema di nastri trasportatori a ritmo, azionati elettricamente, che rispettano la scomposizione dei tempi e delle diverse operazioni per la confezione di un capospalla (taglio, davanti, schiena, fodere, maniche, collo).
Nel 1956 viene avviata la costruzione di un nuovo moderno stabilimento sulla Via Emilia (ora è sede della raccolta d'arte contemporanea Collezione Maramotti - http://www.collezionemaramotti.org/it/Home-Page ), alle porte di Reggio Emilia, in direzione di Parma, nel quale quel sistema possa essere implementato in maniera ottimale. La scelta si rivela esatta, come è dimostrato dal bilancio del 1959, che registra 70 milioni di Lire di utili. Negli anni del «miracolo economico» il settore del tessile-abbigliamento comincia a decollare, mentre lentamente cominciano a scomparire i sarti che lavorano su misura. Nel 1960, infatti, in Italia le ditte di confezione erano circa 2.500, ma le tradizionali sartorie erano ancora 57 mila. Bisognerà aspettare la fine del decennio per vedere una realtà totalmente diversa (6). In effetti, altre imprese di tipo industriale sono intanto sorte, soprattutto nel Nord Italia e, in quel periodo, crescono anche più in fretta di Max Mara, facendosi una grossa concorrenza l'una con l'altra.
Nel 1963 Achille Maramotti effettua un secondo viaggio negli Stati Uniti per studiare il sistema produttivo americano e ritorna a Reggio Emilia con un nuovo sistema di produzione e di retribuizione che scombussola non poco il sistema in vigore fino ad allora: si tratta del cosiddetto sistema a materasso (un materasso di venti capi dello stesso colore), mentre per quanto riguarda la retribuzione si passa al piece-work, cioè la paga a pezzo, in sostanza il cottimo individuale, che era previsto all'epoca solo dal contratto collettivo di categoria per la manodopera maschile che lavorava nel settore della confezione da uomo (7). Ma è nella gestione amministrativa che l'azienda è veramente all'avanguardia. Dal 1960 è stato introdotto negli uffici un sistema meccanografico Bull; dal 1964 viene adottato un controllo di gestione, mentre dal 1967 la società, coadiuvata da Roberto Maliverni, uno dei padri della moderna gestione aziendale italiana, passa a un sistema budgetario. Completata la riorganizzazione interna, l'azienda si trasforma anche sul piano societario. L'involcro primitivo della ditta individuale non risponde più alle dimensioni e alle esigenze della Max Mara, che pertanto nel 1967 viene trasformata in una società in accomandita semplice, mentre nel 1970 viene assorbita Modelia Società Italiana Abbigliamento S.p.A., che era stata costituita nel 1958 e occupava un segmento di mercato di più basso livello rispetto ai modelli della casa madre e faceva capo alla famiglia Maramotti (8).
(6) Cfr. G. Marzotto, L'industria laniera oggi e domani, in «Laniera. Bollettino dell'associazione dell'industria laniera», LXXIV, n. 9, 1960, p. 921.
(7) Il sistema evita di dover ricorrere al cosiddetto «Jolly», quel lavoratore o lavoratrice che prendeva il posto di un collega assentatosi per qualche minut (testimonianza del dottor Achille Maramotti, 28.3.1997).
(8) Cfr. Mediobanca, R&S, 1997, Mediobanca, Milano 1997, p. 1167.
La crescita aziendale è costante negli anni Sessanta. La sovrapproduzione del settore della filatura e tessitura offre margini di manovra molto ampi agli industriali che stanno a valle della filiera del tessile-abbigliamento, consentendo ad esempio alla Max Mara di comprare a fido, un'opzione che consente alla società di evitare il ricorso al finanziamento bancario. La clientela aumenta di continuo ogni anno, anche se è soprattutto nella stagione invernale che l'azienda realizza i suoi affari migliori.
Con le lotte sindacali del 1969-70 si apre una fase nuova. Se di Maramotti i più avvertiti hanno cominciato ad accorgersi verso il 1962-63, quando comincia a comperare qualche palazzo di «rappresentanza» nel centro storico, il suo nome diventa di dominio pubblico sia in città che a livello nazionale per la fermezza che dimostra nelle vertenze sindacali. La contrattazione collettiva porta ad alcuni risultati a livello nazionale in apero contrasto con le pratiche in uso alla Max Mara. In particolare i nuovi contratti di lavoro del 1969 introducono il cottimo di gruppo, ma Maramotti comincia a costruire il nuovo mito dell'imprenditore dal pugno di ferro nei confronti dei sindacati non adottando la nuova normativa contrattuale. Le lotte aziendali sono molto acute in certi momenti, ma la manodopera sembra, per la gran parte, stare dalla parte dell'imprenditore. Maramotti diventa un «caso» anche tra gli imprenditori, poiché nel 1973 ritira la delega alla Confindustria nella contrattazione nazionale, accusando esplicitamente i vertici di categoria di arrendevolezza nei riguardi della controparte sindacale.
La dinamica settoriale sembra del resto dargli ragione. La crescita dei costi del lavoro, unita all'aumento dei costi energetici a partire dai primi anni Settanta e in maniera deflagrante dal 1973, fa scrivere a molti che il settore è destinato a soccombere definitivamente a seguito anche della crescente aggressività commerciale dei Paesi in via di sviluppo (9).
Max Mara individua in un più stretto e organico rapporto con il mercato il modo migliore per capire meglio dove sta andando la domanda e per curare meglio gli eventuali problemi che può presentare una collezione o un tessuto. A partire dal 1971 la rete dei negozi viene ampliata, raggiungendo di colpo il numero di 24 unità, tutte controllate direttamente (il franchising appartiene ad una fase successiva. La presenza di più linee di produzione (dal classico alle taglie forti alla moda per i giovani) rischia di creare nuovi problemi. Per tale motivo nel 1976 la Max Mara dà inizio alla divisionalizzazione con la costituzione di varie società con la costituzione della Commerciale Abbigliamento (che poi a fine anni '90 verrà riassorbita in Max Mara), mentre nel 1977 nasce la Manifatture del Nord (per la moda giovane e il casual) e la Marina Rinaldi (specializzzata nel settore delle taglie conformate).
Nel 1980 il gruppo Max Mara aveva uguagliato il fatturato della Lombardini, una sorta di ideale passaggio di consegne dall'azienda che era stata del suocero a quella di Maramotti quale principale impresa del Reggiano.
Nel 2003 l'azienda, ulteriormente ampliatasi, si trasferì in una nuova sede generale, edificata alla periferia di Reggio Emilia (in prossimità al casello autostrada Reggio Emilia).
Nel 1980 il gruppo Max Mara aveva uguagliato il fatturato della Lombardini, una sorta di ideale passaggio di consegne dall'azienda che era stata del suocero a quella di Maramotti quale principale impresa del Reggiano.
Nel 2003 l'azienda, ulteriormente ampliatasi, si trasferì in una nuova sede generale, edificata alla periferia di Reggio Emilia (in prossimità al casello autostrada Reggio Emilia).
(9) Cfr. G. Bussolin, Tessile. Analisi economica di un sistema industriale, Libreria Editrice Universitaria Levrotto & Bella, Torino 1983, pp. 22 sgg.
Ho tratto questo testo, a cui ho apportato poche modifiche, da:
"L'affermazione dell'industria - Reggio Emilia 1940-1973"
a cura di Gian Luigi Basini e Giampiero Lugli,
Ed. Laterza, 1999, pp. 383-389.
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Per approfondire la storia di questa azienda
a cura di Gian Luigi Basini e Giampiero Lugli,
Ed. Laterza, 1999, pp. 383-389.
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Per approfondire la storia di questa azienda
si consiglia lalettura del libro:
Coats!
Coats!
Max Mara, 55 anni di moda itatiana
Ed. Skira, 2006
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