Maglia, pullover, per ambedue i sessi, leggero, aderente (specialmente nel collo), a maniche lunghe, chiuso sia davanti che dietro, da indossare attraverso la testa, dal collo alto risvoltato che va tirato su fino sopra al mento e poi ripiegatelo su se stesso in modo ordinato. Può essere in 100% lana (o mix di lane: lana Lambswool, Merinos o Cashmere) o in 100% cotone per quelli più leggeri; lavorato (ad esempio con trecce) in lana spessa da indossarsi su un paio di jeans, con sopra un giubbotto di pelle; semplice da mettersi sotto a blazer, giacche in Tweed, felpe, pullover e cardigan, ed anche a interi abiti in sostituzione della camicia (in un look sofisticato).
Da non confondersi con il lupetto che è una maglia il cui collo arriva a mezza altezza e non si risvolta.
Inglese: Turtleneck
Inglese: Turtleneck
STORIA - I primi dolcevita come li conosciamo oggi risalgono agli inizi del ‘900, quando marinai e operai che lavorano in posti ventosi lo indossavano per proteggersi dall’aria, ove la sciarpa diventava un elemento impossibile da indossare. Negli anni ’20 diventarono popolari in alcune città inglesi per imitare il look di Noël Coward, noto commediografo dell’epoca. Nella seconda metà degli anni '20 in Europa divenne un simbolo per esistenzialisti, artisti ed intellettuali.
Essendo nato come capo maschile, le femministe degli anni 50 lo iniziarono ad indossare come simbolo della parità sessuale. Ma la prima vera icona a trasformare il dolcevita in una tendenza fu la cantante francese Juliette Gréco, amica di molti intellettuali parigini dell’epoca e simbolo dell’esistenzialismo.
Negli anni ’50 e ’60 questo capo diventò in Inghilterra il simbolo della controcultura dei “giovani arrabbiati” (un gruppo di scrittori della classe operaia), mentre negli Stati Uniti vestì gli esponenti della Beat Generation e delle Pantere Nere i cui membri lottavano per il movimento degli afroamericani. Quindi il dolcevita come simbolo di chi aveva qualcosa da dire, qualcosa in cui credere, qualcosa per cui lottare. Negli anni ’70 questi maglioni furono indossati da chiunque e in molti modi, sia in situazioni più formali, sia per sostituire la camicia. Attualmente sembra tornato molto di moda e si è visto nelle collezioni più recenti di Valentino, Stella McCartney, Gucci e Fendi che invitano ad indossarli in maniera contemporanea, abbinandoli a una giacca, camicia o t-shirt.
CURIOSITÀ - Nell'accezione comune, il maglioncino a collo prenderebbe il nome dal film di Federico Fellini, "La dolce vita" del 1960: caso più unico che raro di un indumento ribattezzato con il nome di una pellicola. Eppure, nel film, il capo che si era diffuso in Francia indosso all'attore Yves Montand, compare una sola volta e indossato dall'omosessuale Pierone. [Gianluca Lo Vetro, Fellini e la moda, ed. Bruno Mondadori, 2015, p. 62]
Rames Gaiba
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