26 giugno 2024

PAGLIETTA


Paglietta - diminutivo di paglia, a sua volta dal latino palĕa.

Cappello estivo circolare, di paglia, rigido, con calotta (cupola) piatta, ornato da un nastro di gros grain tutto intorno alla calotta e spesso colorato, e con una piccola tesa diritta, appartenente al guardaroba sia maschile che femminile. 




Viene chiamato anche canotier, derivato dal francese à la canotier, o «cappello alla canottiera» in quanto nasce come copricapo sportivo maschile, associato all'uniforme estiva da canottaggio; questo cappello è circondato da un fiocco nero o blu, fermato a fiocco piatto con lunghe cocche che scendono sul dietro. In inglese è detto sennit, straw boater oppure  boater o
straw sailor.

A Milano è chiamato familiarmente magiostrina, in quanto indossato  all'arrivo della bella stagione, verso maggio.

A Venezia il cappello da gondoliere si chiama mariegola, che nella versione estiva è di paglia intrecciata, con il doppio raso di guarnizione.  


Cappello da gondoliere «mariegola»
foto: © Nicolò Zanatta


A Napoli gli avvocati del primo '900 venivano chiamati in modo bonario “pagliette” o i
paglietta o più comunemente è detto, affettuosamente, o' scurnacchiato proprio per la loro abitudine di portare in testa come tratto distintivo cappelli di paglia di colore nero¹; era riferito a quegli avvocati che non esitano ad accendere ceri alle madonne del vicolo pur di intascare scudi e denari, sono figure-cerniere tra l’irraggiungibile latinorum del diritto vero, e il popolo che cerca giustizia e al Sud si affida sempre armi e bagagli a chi sape e conosce e po’ trovà a chiave per aprì na porta ‘nserrata. Astuti e cavillosi, abitano una Napoli senza tempo perché esperta di umanità, si muovono a metà strada tra il diritto che non guarda in faccia a nessuno e la carne del popolo che vive nei Bassi, con gente che quando ha problemi ‘mette e’ ccarte mmano all’avvocato’.

Un'altra regione dove l'arte di fabbricare i cappelli di paglia ha raggiunto livelli di qualità insuperabili è il Sud America ed in particolare Panama, che ha dato il nome a questo tipo di cappello. Il cappello di Panama è costituito da un intreccio finissimo di paglia (si usano vari tipi) che può essere talmente elastico (palma tropicale) che talvolta è possibile arrotolare i cappelli senza che ne subiscono alcun danno.

Anche in Asia, in particolare in Cina, da sempre nelle campagne  vengono fatti grandi cappelli con la paglia di riso per proteggersi dal sole.  


Paglietta, venivano così definiti, un tempo, gli avvocati da strapazzo, la gran parte dei quali portava questo tipico cappello di paglia (da cui il nome), con cupolino alto bordato di nastro di seta, piatta, ampia tesa rigida il tutto rigorosamente di colore nero per distinguersi da tutti gli altri uomini che erano soliti indossare, soprattutto nella bella stagione, pagliette di colore chiaro. (Raffaele Bracale [1945-2022] scrittore e uno dei massimi napoletanisti, probabilmente il più grande esperto in città di lingua e cultura napoletana.)  Essere 'Nu paglietta.
 


STORIA - Già nel Settecento gli artigiani di Signa (Toscana) conoscono la lavorazione della paglia intrecciata con cui sono realizzati questi cappelli, conosciuti universalmente come leghorn perché imbarcati dal porto di Livorno verso i più lontani paesi del mondo. Creato come cappello per bambini (Les coquelicots) fu in seguito usato anche da adulti, uomini e donne. Dalla fine dell'Ottocento completerà l'abbigliamento di artisti del cinema e del teatro. Era il cappello da scena e da set di Maurice Chevalier, di Odoardo Spadaro e, sfrangiato a stella, di Nino Taranto. È tra i cappelli più usati da Gabriele D'annunzio. Divenne il copricapo di coloro interventisti” che manifestarono nelle piazze perché l'Italia intervenisse nella Prima Guerra Mondiale. Il cappello fu indossato dai canottieri, abbinato a blazer a strisce e pantaloni di flanella, costituiva l'uniforme per lo sport estivo del canottaggio dalla fine dell'Ottocento fino a circa il 1940. In versioni diverse la paglietta è divenuta decisamente popolare negli anni '20 del secolo scorso, come copricapo femminile, con l'aggiunta di decorazioni varie (nastri, fiori e frutti artificiali, e similari), e come parte dell'uniforme estiva di molti collegi femminili inglesi.


dal film francese «Bilitis» del 1977 diretto dal fotografo David Hamilton.
Questo film ha influenzato il mondo della moda alla fine degli anni '70.


I materiali "poveri" in paglia, a partire dagli anni Cinquanta, si trasformarono in accessori basici da portarsi nella stagione calda associati a spiagge assolate e rive del mare ma poi riconvertiti in pezzi da città.

Nell'immaginario collettivo associamo, inoltre, i cappelli di paglia portati per proteggersi dal sole d'estate durante la mietitura nelle nostre (Italia) campagne. Era il cappello delle mondine nella stagione delle risaie.


CURIOSITÀ - Il 29 novembre 2014 è stato emesso dalle Poste Italiane un francobollo da 80 centesimi "Industria della paglia di Firenze", in occasione del trecentesimo anniversario della fondazione dell'industria della paglia che si diffuse in un vastissimo territorio dell'hinterland fiorentino.


La vignetta rappresenta tre diversi modelli di cappelli di paglia di Firenze
esposti in una vetrina del
Museo della Paglia e dell'Intreccio
“Domenico Michelacci” di Signa - Firenze.


La Paglia di Firenze è detta anche paglia d'Italia. Paglia di grano che pur essendo imbiancata artificialmente con lo zolfo, conservava riflessi dorati.²

L'Italia era importantissima per la lavorazione della paglia con la quale si facevano anche cappelli, in cui trovavano lavoro stagionalmente nelle campagne molte migliaia di persone, in grandissima parte donne, le quali integravano il reddito rurale delle famiglie. Il centro tradizionale era Firenze con i paesi circostanti (Signa, Brozzi, ecc.); anche a Marostica (Vicenza), c'era una rispettabile attività, mentre a Carpi (Modena) si fabbricava la treccia di truciolo (paglia di riso) o di paglia, lavorata altresì presso Teramo e a Napoli; altre località ove si producevano delle qualità ordinarie in paglia erano i paesi di Falerone, Montappone e Monte Vidon Corrado presso Ascoli Piceno.

Numerosi i dipinti dei pittori impressionisti che in cui compare il cappello di paglia, tra questi La partie des dames à Amfreville di Edouard Vuillar (1868-1940), Le déjeuner  des canotiers del 1861 di Auguste Renoir, Femme à l'ombrelle tournée vers la droite del 1866 di Claude Monet.


La lavorazione della paglia si sviluppò nella piana tra Firenze e Pistoia durante l'Ottocento, arrivando ad assicurare il lavoro a quasi 90.000 donne e uomini. Si era allora in un periodo in cui al graduale decadimento dell'economia toscana dopo i successi rinascimentali, i Lorena  (è il ramo cadetto della casa reale d'Asburgo che resse il Granducato di Toscana dal 1737 al 1801 e dal 1814 al 1860) avevano contrapposto una nuova volontà di sviluppo basate sulle idee innovative. Inn questo contesto il fatto nuovo fu la brillante intuizione che portò Sebastiano Michelacci, detto "il bolognino" (dal luogo di origine di Bologna), a coltivare una nuova varietà di frumento che per la lunghezza della paglia e per la sua qualità in termini di colore e di finezza bene si prestava per la produzione dei cappelli. Tale progresso tecnologico si sposò con l'introduzione di tecniche di lavorazione importate dalla Svizzera e precisamente dall'Argovia dove da secoli si era sviluppata la lavorazione della paglia di segale. (Irma Schwegher | Giampiero Maracchi - Fabbricare cappelli; Libreria Editrice Fiorentina, 2007, p. 57)  

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Nato nel 1947 vi è a Prato il Club delle Pagliette” che si può considerare una delle ultime tradizioni rimaste in questa città. Storicamente la sede operativa è lo storico Istituto Tullio Buzzi di Prato, ad indirizzo tessile. Il Club delle Pagliette  svolge la funzione di aggregare tutti i ragazzi che oltre a studiare hanno voglia di divertirsi in nome della goliardia.


Club delle Pagliette, dal 1947 Io sono di Prato 
 

Che vi rimanga ragazzi questo spirito. Bravi!


Cencio, nell'espressioni dell'industria tessile pratese vuol dire lavorare come operaio alla cernita degli stracci secondo la qualità e/o il colore. (Umberto Mannucci - Parole in fabbrica; Ed. Del Palazzo, 1993, p. 54 e 58) 
 
 

Rames GAIBA
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