7 gennaio 2024

Il sarto - Giovanni Battista Moroni




Il sarto (1570-1575) - Giovanni Battista Moroni (1522-1578)
olio su tela, cm 97 x 74
Londra - National Gallery

 
Una precisazione va fatta sul mestiere dell'affascinante ritratto, il quale non è affatto un sarto, come si ripete ancora oggi, ma un mercante di pannina (tessuto di lana). Vi sono alte probabilità che il signore raffigurato con le forbici in mano sia un membro della famiglia Marinoni di Desenzano d'Albino, già titolare di una bottega di pittori, poi trasferitosi a Venezia per esercitare la mercatura della lana. Un uomo concreto.

Straordinario questo "sarto" del Moroni, sia dal punto di vista pittorico che come documentazione di costume. L'opera è caratterizzata da elementi di moda presenti in Italia dopo la conquista spagnola e dopo la Controriforma. Innanzitutto il giuppone accollato, col bordo illuminato da collo e polsi a lattuga (si chiamava così) che annunciano la fine della moda rinascimentale e l'introduzione di elementi di severità che erano estranei al periodo precedente. In secondo luogo le braghesse (uso i termini dell'epoca) rigonfie e imbottite, che erano completate (qui non si vede) da calze aderenti. La presenza dei tagli in tutto il vestito, caratteristica del l'abito cinquecentesco, sembra sia stata introdotta in Italia dalle truppe lanzichenecche responsabili del sacco di Roma. Una moda molto criticata all'epoca perché si rovinavano metri di tessuto, considerato un bene prezioso dati gli alti costi di fabbricazione.


 


Il giuppone è una sorta di farsetto che copriva il busto ed era allacciato davanti, lungo oltre la vita con punta stondata. Era un indumento legato all'ambito domestico, con questo si dormiva, si stava in giardino, si lavorava all'interno della bottega o nei campi; non si usciva mai di casa solo con questo capo poiché, ad eccezione dei giovani ai quali era consentito uscire in calze e farsetto, non era ritenuto decoroso. Alla fine del 1500 il giuppone era imbottito sulla pancia, moda proveniente dalla Francia, dove era chiamato "panceron".

In Moroni luce e materia della pittura fanno un corpo unico, e vivono per concrezione (o concretezza, appunto) del pigmento cromatico. Così nelle brache color vinaccia, così nella giubba, così soprattutto nella barbetta curata, e nello sguardo in tralice di un piccolo imprenditore che pensa ai propri interessi.




Rosita Levi Pizestski in "Storia del costume in Italia" (in 5 vol., ed. Istituto Editoriale Italiano) sottolinea che il passaggio da farsetto a giuppone avvenuto appunto durante il Rinascimento, segna anche un cambiamento nella destinazione d'uso dell'indumento. In altre parole il giuppone diventa (secondo la Pizestski) un capo da portare all'esterno, come è anche testimoniato dalle numerose immagini che ce lo hanno tramandato.

Nel 2° vol. a pag. 32  la Pitzeski  scrive "Farsetto, zuparello, zupa, zupeta..., giubba - Di giorno, sulla camicia, gli uomini portano, come nel Duecento, il farsetto imbottito e trapuntato. Questo farsetto è detto nell'area settentrionale d'Italia zuparello, zupa, zupetta. [...] Al farsetto, come si è detto, si allacciano le calze. [...] Dal termine zupa a quelli di çuba o di giubba usati qualche volta come sinonimo di farsetto il passo è breve; pure, vi è una netta sfumatura di significato, che si è notata nel Duecento e che possiamo afferrare ancora meglio nei testi narrativi del Trecento: la giubba è un indumento molto più signorile del farsetto, per l'uso e per la stoffa in cui è confezionata, cioé catasciamito, borra di seta, zetanino, vellexis ossia velluto, ma più comunemente zendalo. [...] Tuttavia si deve osservare che la distinzione dei due termini non è sempre nettissima. [...] Nel farsetto, che è indumento quasi intimo, risalta in ogni modo la lindura della persona. [...] Generalmente in solo farsetto vanno quelli che accudiscono a certi lavori manuali... Nelle classi più elevate invece il farsetto è un indumento da portar sotto gli altri e da tener in vista soltanto in confidenza, per essere spicci, o per casa. [...] Quindi «spogliarsi in farsetto» equivale a mettersi in disimpegno [...] Oggi, nello stesso senso, diremmo «rimboccarsi le maniche» La stessa osservazione vale, nell'area settentrionale, per il termine giubbone (o giuppone)".

Considerando il periodo del ritratto (1523-1530) non vi è dubbio che il sarto (che si è fatto raffigurare) dipinto dal Moroni indossi un giuppone (quindi un capo da esterno) piuttosto raffinato con quel collo e con quel tipo di maniche.

Il farsetto sopravvive, in una linea semplificata, in alcuni costumi regionali.
Il farsetto veniva fatto dai "farsettai" (gli stessi che facevano le coperte trapuntate) e non dai sarti.

Lo "zendalo" è un tessuto di seta molto leggero, simile al taffetà; forse impiegato anche per indicare veli. [Maria Giuseppina Muzzarelli, Guardaroba medioevale - ed. il Mulino, 2008]



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