12 gennaio 2024

BOLOGNA, l'arte del passato tessile


Spesso abbiamo un'immagine profondamente distorta di Bologna: pensiamo sia stata la capitale di un'area agricola e che la sua industrializzazione abbia avuto inizio alla fine dell'Ottocento. Ma la città è stata nel XVI-XVII secolo un grande centro industriale e il settore più importante della sua produzione era rappresentato dalla seta.

Già nel 1231 a Bologna ebbe origine l'arte della seta favorita dall'immigrazione di alcuni artigiani setaioli di zendadi (velo di seta) da Lucca, immigrazione voluta dal governo bolognese al fine di sviluppare un'attività artigianale che si riteneva promettente per l'economia della città.¹ 

Alla fine del secolo XVII esistevano a Bologna, dentro la città murata², 119 mulini da seta mossi da 353 ruote idrauliche di piccole dimensioni, a cassette, alimentate dall'alto da 1 a 2 HP. Questa struttura evidenziava la sinergia tra due specifiche innovazioni: quella delle macchine e quella della distribuzione dell'energia. Questa struttura produttiva - tutta urbana che vietava la diffusione della lavorazione serica nelle campagne³ - si fondava sull'integrazione di diversi modi di produrre: il sistema di fabbrica (introdotto nella torcitura a partire dal secolo XVI), il sistema delle arti (che proseguiva la tradizione medioevale) e il lavoro a domicilio. Quest'ultima forma era largamente impiegata nella tessitura. Il mercante attraverso un rapporto di putting-out-system - diremmo oggi - ⁴ forniva la materia prima e gli strumenti per il telaio e provvedeva a vendere successivamente il prodotto finito. Alla fine del secolo XVI la produzione serica (filatura e tessitura) dava da vivere a circa 24.000 persone su 60.000 abitanti e i prodotti venivano esportati in Francia, nelle Fiandre, in Germania, in Inghilterra, nell'Oriente Ottomano, nella vicina Venezia. I filati comprendevano prodotti di grande qualità come gli orsogli⁵, mentre i tessuti erano famosi per le drapperie ma soprattutto per i veli, tessuti leggerissimi, trasparenti per i quali era necessario disporre di filati particolarmente sottili, perfetti, resistenti. Alla fine del Seicento si esportavano circa 200.000 libbre (oltre 90.000 kg) di orsogli e velani.⁶

Il "sistema di fabbrica" impiantato a Bologna nei suoi momenti migliori dava lavoro e vita dignitosa a una buona metà  della popolazione cittadina e un importante cespite (risorsa) ai mezzadri e coltivatori della campagna con l'allevamento del baco da seta. Quando il setificio bolognese crollò, alla fine del Settecento, le famiglie degli operai e artigiani rimasti disoccupati diedero serie preoccupazioni al governo bolognese. Gli avversari del sistema di fabbrica del setificio bolognese non subirono senza reagire questo predominio europeo della produzione e lavorazione della seta che avveniva a Bologna: nella seconda metà del XVII secolo il segreto del mulino da seta sfuggiva dalle mura della città e permetteva la costruzione in Piemonte, Lombardia e Veneto di simili macchinari, con la differenza che a nord del fiume Po l'acqua di fiumi e torrenti da cui ricavare le derivazioni era più abbondante; inoltre venne incentivata la coltivazione dei gelsi e l'allevamento dei bachi da seta e infine la manodopera era a buon mercato e il percorso più corto e quindi meno costoso verso le regioni transalpine, dove si esportavano i tessuti bolognesi.⁷ 


Il Mercato di Mezzo (Porta Ravegnana, situata all'estremità est di via Rizzoli) a Bologna
  Miniatura dalle Matricole della Società dei Drappieri (1411)
© Bologna - Museo Civico Medioevale


Su entrambi i lati della strada sono installate le bancarelle dove si vendono drappi e tessuti. Al centro della scena un popolano, dai calzoni laceri si sta provando una specie di giacca, aiutato dal venditore. Sullo sfondo una cappella immancabile riferimento alla vita religiosa.
 

BOLOGNA - vie "dedicate", toponomastica, al mondo del tessile

via Altaseta  - A Bologna, nei tempi andati, la lavorazione della seta era molto fiorente. Una legislazione severissima imponeva, per ragioni di concorrenza il segreto professionale ai setaioli. Il setaiolo sorpreso in trattative col nemico - specie se lionese - veniva condannato a morte. Ma alla fine la corruzione prevalse e il commercio della seta passò all'estero. Chiamata nei tempi passati Belvedere di Saragozza. Si racconta che la collocazione della targa in questa via sia stata sbagliata. Il muratore incaricato di apporre le nuove targhe stradali scambiò la lapidetta. Solo più tardi ci si accorse dello sbaglio, ma nessuno provvide a porvi rimedio. Questo dovette accadere tra il 1800-1801 quando il Municipio fece murare per la prima volta targhette in macigno a capo di ciascuna strada.

via della Canapa (fuori porta san Donato), recente attribuzione (dopo il 2000).

via Calzolerie - Affollata anticamente dai numerosi negozi di calzolai.

via Chiudare - Erano chiamati così gli stenditoi muniti di ganci sui quali si mettevano ad asciugare i panni passati alla tintura.


via Drapperie - (va dalla confluenza delle vie: Orefici, Calzolerie, Caprarie e termina in Via Clavature). Prese il nome dai numerosi negozi che vendevano drappi di lana.  In un locale chiamato cappello aveva sede la potente corporazione dei drappieri, a partire dagli anni 1208-1210. Gli associati venivano sorvegliati e guidati nell'esercizio del loro mestiere, qualora venissero riscontrate anomalie a sospensione ed a norma dello statuto erano condannati al pagamento di molte penali.

via della Filanda (zona Barca, Quartiere Reno) - Il riferimento è alla lavorazione della canapa. Questa via arrivava in antichità all’opificio per la lavorazione della canapa in località Canonica, alla Croce di Casalecchio. Questo opificio era noto come Filanda e ciò giustificò il nuovo odonimo.

via dei Fusari - (Da via IV Novembre a via Santa Margherita). Dedicata ai Fusari, una famiglia che abitava nella vicina via Santa Margherita, interessata alla tessitura. I fusari erano i tornitori che costruivano i fusi.

vicolo Gangiolo - Gangaiolo è un nome che trova radice nel dialetto Bolognese, nel significato di ultima parte del filo del gomitolo e, traslato, di uno “scampolo” di strada. I gargiolari identificavano i lavoratori della canapa.

via de' Gargiolari (centro storico) - I Gargiolai erano gli adetti alla trasformazione della canapa (in bolognese gargiòl) da fibra greggia in pettinati. La compagnia de' Gargiolari o Garzolari, già dal sec. XIV fu unita all'Arte dei Salaroli⁸ o Lardaroli come "arte dei Gargiolari o Capestrani" in quanto connessi nella lavorazione della canapa. Nel 1566 avviene la separazione definitiva dei Salaroli. A Bologna c'erano anche una Piazzola e una via della Canepa, contigui a Palazzo Re Enzo, cancellati dagli sventramenti del 1910-15, in cui si faceva "mercato di Lino, Gargiolo e Canape greggie". I Veneziani erano i migliori acquirenti della canapa bolognese, che impiegavano a far vele e cordami per le loro navi.

Via Dè Gelsi (nella periferia di Bologna) - La via prende il nome per la presenza in quella zona dei gelsi, pianta fondamentale per la produzione della seta.

via dei Tessitori (parallela a via Altaseta - zona Saragozza) - La via prende il nome da una famiglia bolognese, i Mussolini (Giacomo?, nobile bolognese del Duecento), che in origine facevano il mestiere dei sarti salaroli. La famiglia era molto importante, e ricoprì cariche di magistrature comunali e cariche di militari. Nei secoli XIV e XV si presero le tracce dei Mussolini.

via Vascelli (centro storico, zona piazza dei Tribunali) -  La via prende il nome per la presenza dei tintori che usavano caldaie (vaselle).⁹


 Lapide funebre di un sarto.
Basilica di Santo Stefano, cortile di Pilato - Bologna


Portico del Pavaglione - "A tale scopo intorno al 1430 si iniziò la costruzione di un lungo edificio compreso tra le odierne vie de' Foscherari e Farini, sotto il cui porticato - poi detto «del Pavaglione» perché pochi anni dopo con quel nome vi sarebbe sorto di fronte il capannone in cui si sarebbe tenuto il mercato dei follicelli o dei bozzoli da seta - si affacciavano numerose botteghe, sormontate al piano superiore da aule scolastiche, ovvero dalle «scuole di S. Petronio», che nei decenni seguenti si cedettero in affitto per le lezioni dello Studio".¹⁰ "Si diede così una sede stabile alla fiera del Pavaglione (= padiglione), che si sarebbe tenuta in quel luogo fino a metà del XIX secolo".¹¹ Per tale ragione il portico allora veniva chiamato "portico della farfalla".

Non è la piazza che ha preso il nome del portico, ma anche se non ufficialmente, viceversa.


In genere si trova scritto che il termine Pavaglione deriverebbe dal francese “pavillon”, “farfalla”. Non è necessario scomodare il francese, infatti i vocaboli italiani padiglione e farfalla (pavajån e parpâja in dialetto bolognese) hanno la stessa etimologia latina “papilio”. “Papilio papilionum” significa “padiglione delle farfalle” che probabilmente era il nome originale. Anticamente “papilionem”, nel XVI secolo era chiamato “paviglione”. Per Pavaglione si intendeva l’attuale piazza Galvani, dove si svolgeva il mercato dei bachi da seta, allevati nella campagna bolognese che giungevano in città all''inizio dell'estate. Erroneamente si è portati a chiamare Pavaglione il portico che costeggia la piazza e corre per tutta la Via dell’Archiginnasio, ma sarebbe corretto chiamarlo Portico del Pavaglione, anche se non è una denominazione ufficiale. Un errore diffuso è che il primo Pavaglione si svolgesse sotto ad una tenda, mentre invece si trattava di una costruzione in legno che veniva montata e quindi smontata alla fine della fiera, sormontata da drappi di tela che venivano stesi a formare dei padiglioni che riparavano la merce, i venditori e i compratori dal sole. Il 27 giugno 1449 la Camera (di Commercio) decretò che il Pavaglione si svolgesse in perpetuo in una delle case della “Fabbrica di San Petronio” (organizzazione che si occupava della costruzione e delle manutenzione dell’edificio) poste sul retro della chiesa. Nel 1563 Pio IV fece demolire alcune di queste case per ricavare una piazza atta allo svolgimento del Pavaglione ed il 20 novembre ordinò che si prelevassero ogni anno 150 scudi d’oro dai proventi di giustizia da utilizzare come indennizzo alla “Fabbrica” stessa. La piazza così formata fu chiamata inizialmente “dell’Accademia”, poi “dell’Archiginnasio”, “delle Scuole” ed infine “del Pavaglione”. Nel 1566 fu demolita anche la casa di Floriano Dolfi per aumentare lo spazio disponibile. Nel caso in cui a Bologna si svolgessero due manifestazioni importanti in contemporanea con la fiera dei bachi queste occupavano sia la Piazza Maggiore che la Piazza del Pavaglione. In questo caso la fiera dei bachi si svolgeva nella Seliciata di San Francesco, l’attuale Piazza Malpighi.

Le misure bolognesi 

Nella scarpa del Palazzo Comunale (Palazzo del Legato), di fronte alla fontana del Nettuno, sono scolpite (segnate) su pietra d'Istria le misure bolognesi in uso nel Medioevo:

- Coppo (C
åpp), di 6 once (cm 19,0049) sul lato stretto, di 8 once (cm 25,3399) sul lato largo, di 15 once (cm 47,5123) di lunghezza; 
- Mattone da costruzione (Prêda), di 2 once (cm 6,3350) di profondità, di 7,5 once (cm 23,7561) di larghezza;
- Piede (), di 12 once (cm 38,0098) di lunghezza;
- Doppio Braccio (Brâz Dåppi), di 40 once (cm 128,0078) di lunghezza; 
- Braccio (Bråaz), di 20 once (cm 64,0039) di lunghezza;
- Pertica (P
êrdga), di 10 piedi (cm 380,0983) di lunghezza.
  
Le misure servivano ai commercianti che convenivano al mercato di piazza Maggiore.¹²  La pertica era composta di 12 piedi (il piede bolognese era equivalente a cm 38,0098). Era ammessa anche la pertica di 10 piedi (m 3,80) che era anzi più usata. Quest'ultima, insieme alla misura del piede, del braccio (m 0,64), del doppio braccio (m 1,28). Oggi il palazzo è sede del Municipio della città.

Campioni pubblici di Piazza situati in Piazza Maggiore a Bologna


Che i luoghi dove si teneva mercato fossero ritenuti importanti ne è prova il fatto che la via che congiungeva i due più frequentati mercati della città assunse il nome di via Mercato di Mezzo, (piazza di Porta Ravegnana, caratterizzata dalla presenza delle due torri) cioè l'odierna via Rizzoli, che univa il mercato di porta Ravegnana con quella di piazza Maggiore. In questi mercati si vendeva di tutto, fra cui anche stoffe, filo, cotone, lana, ecc. Erano banchetti che occupavano meno di un metro quadrato e che si potevano montare e smontare in pochi minuti: qualche stanga di sostegno, stuoie, tele cerate per proteggere da acqua e sole. Questo colorito e chiassoso mercato chiuse i battenti l'8 maggio 1877: le quasi 450 bancarelle furono ricollocate in parte nel nuovo mercato coperto di via Clavature-Pescherie, in parte intorno a San Francesco (via De Marchi) ed infine, nel 1910, nel grande Mercato delle Erbe di via Ugo Bassi.¹³               

    
Canton dé Fiori

Lontano dalle mura di Bologna, esattamente all’incrocio tra Via Rizzoli e via Indipendenza (in cui fino al Settecento si faceva, appunto, mercato di fiori)¹⁴, se osservate la volta del Canton de’ Fiori noterete questa scritta in latino “Panis vita ˷ Cañabis protectio ˷ Vinum laetitia”, la cui traduzione é: “Il pane è vita, la cannabis è protezione, il vino è allegria”.

Il significato di queste frasi risiede nel fatto che lo sviluppo e la ricchezza di Bologna debbano molto anche alla coltivazione della canapa, un tempo molto diffusa nelle campagne del bolognese, ed anche questo garantì alla città il suo aspetto ricco e fiorente.¹⁵




Gli affreschi del 1904 sono di Achille Casanova (1861-1948) che nella parte superiore hanno decorazioni a fogliami e fiori parlanti "secondo i gusti poetici degli antichi decoratori del Quattrocento". È in pratica l'esordio del liberty in città. Alfonso Rubbiani la definisce la prima casa borghese "pittoresca" a Bologna.




Il palazzo viene restaurato a fine '800 dall'architetto Augusto Sezanne (1856-1935)¹⁶ e conserva il portico cinquecentesco
in quella che è definita (dal nome dell'omonimo proprietario) Casa Stagni (già Scappi, sec. XV) in Canton dé Fiori.


Via della Lana e della Seta

Un itinerario che ripercorre la storia della produzione tessile di due regioni: Emilia-Romagna e Toscana, che collega Bologna e Prato. Città accomunate dalla loro storia produttiva nell'industria tessile: la prima capitale della lavorazione della seta e la seconda della lana.

Le città di Bologna e Prato hanno beneficiato della forza idraulica dei loro corsi d'acqua. Il fiume Reno che scorre in prossimità di Bologna ed il sistema idrico del Calvaciotto¹⁷ a Prato erano necessari per azionare gli opifici, i mulini, le gualchiere¹⁸ e i telai per la lavorazione della materia prima.

​Un itinerario di trekking alla scoperta delle bellezze del territorio appenninico, ricco di tradizioni, e del grande patrimonio culturale di Bologna e Prato. Scoprendo le vie d'acque e le affascinanti costruzioni dell'architettura idraulica.

Via della Lana e della Seta è un cammino di 130 km di media difficoltà, realizzabile in 6 giorni. Il tacciato si sviluppa lungo sentieri CAI con segnavia bianco-rossi e con specifici cartelli che riportano il logo della Via. Il percorso attraversa borghi, cime e vallate, quattro parchi naturali, non supera mai i 1.000 metri d'altezza e arriva a ogni tappa in un paese servito dai mezzi pubblici.


https://www.viadellalanaedellaseta.com/



₁ Le cronache cittadine registrano l'importante avvenimento di politica economica: Matteo Griffoni al 1231 registra: «Factae fuerunt magnae immunitates artibus lanae et sirici». E Girolamo Burselli:  «Ars serici et lane a comuni Bononie privilegiis dotata est»; la Cronaca Villola: «Et in quello anno (1231) fo fatte grandi immunitade all'arte della seta e della lana». E in effetti sono conservati presso l'Archivio di Stato, fra i documenti più antichi del Comune bolognese, alcuni contratti con artigiani non solo di Lucca, ma anche di Milano e di Cantù (Como), che sapevano tutti ricavare dal bozzolo il filo di seta, filarlo e con esso tessere i sottili e preziosi tessuti detti zendadi, i più fini e leggeri. (Pier Luigi Bottino - Paola Foschi - La Via della Seta bolognese - ed. Minerva, 2019, p. 71).
Una leggenda metropolitana vuole che le conoscenze e tecnologie furono portate a Bologna da un gruppo di fuoriusciti politici da Lucca (un gruppo di cittadini appartenenti ai Guelfi soccombenti contro i Ghibellini, nei sanguinosi scontri del 1314). Certamente quel nuovo flusso di persone ha contribuito a sviluppare a Bologna l'arte della seta, ma l'inizio come dai documenti risale a prima.
₂ Dove c'era un corso d'acqua non mancavano ruote idrauliche o le chiaviche, cioè le saracinesche che convogliavano l'acqua per azionare altri meccanismi. [...] I congegni più complessi furono certo i filatogli”, cioè i filatoi da seta, dove enormi arcolai meccanici situati su più piani lavoravono il prezioso filato. (Tiziano Costa - Canali perduti - ed. Costa Editore, 2002, pp. 69-70).
₃ L'unica fase del percorso produttivo lasciato alla campagna era l'allevamento dei bachi da seta. 
₄ Questa espressione inglese oggi la possiamo tradurre in italiano come "industria a domicilio". Questa forma di produzione viene detta anche Verlagsystem (in tedesco) o "industria rurale", espressioni che in vario modo vogliono mettere in rilievo il carattere decentrato ed extraurbano del sistema, che lo differenzia da quello della bottega e della fabbrica. Il lavoro a domicilio era già molto diffuso nel XIII secolo, nell'epoca delle manifatture urbane, ma solo limitatamente alla fase della filatura della lana.
₅ L'orsoglio altro non è che una seta la quale, dopo la tratta dei bozzoli, ricevette due apparecchi, il primo che consiste nel torcere un filo sovra sé stesso, ed il secondo nell'aggiungere varie di queste fila e ritorcerle insieme per formare una sottile cordicella di seta attorcigliata (Francesco Gera, Il trattore da seta ossia L'arte di svolgere i bozzoli, Stampato in soli 60 esemplari in Venezia da Stab. di G. Antonelli, 1844, p. 182).  Scrive Marco Poli, Bologna. La città delle acque e della seta, Ed Minerva, 2017, p. 72 “Le fasi di produzione dell'orsoglio prevedevano l'incannatura meccanica, una prima torcitura, la binatura, eseguita dalle "maestre" e consistente nella incannatura di due fili su uno stesso rocchetto e, infine, la seconda torcitura”.
₆ Bologna città protoindustriale nei secoli XVI-XVIII. A cura di Museo-Laboratorio Aldini-Valeriani, “Scuolaofficina”, VII, 2, p. 17
Pier Luigi Bottino - Paola Foschi - La Via della Seta bolognese - ed. Minerva, 2019, pp. 94-97.
₈ Erano i salumieri.
₉ Per la toponomastica di Bologna come per molte notizie sulla seta ho consultato il libro a cura di Marco Poli, Bologna. La città delle acque e della seta, Ed. Minerva, 2017. Da questo libro ho tratto le immagini che sono © della Matricola della società dei Drappieri e della Lapide funebre di un sarto.  
₁₀ Rolando Dondarini, Bologna medioevale, Ed. Pàtron, 2000, p. 188
₁₁ Rolando Dondarini, op. cit., p. 332
₁₂ I primi campioni di cui si ha notizia in Bologna, furono trasferiti dalla primitiva collocazione all'esterno della Chiesa di S. Maria dei Rustignani nel 1286. Furono quindi sistemati sul muro di una cappella che venne però abbattuta nel 1404. Riapparvero verso il 1574 sulla scarpa della fronte di levante del palazzo comunale, luogo nel quale si trovano tutt'ora.
₁₃ Marco Poli, Il primo ipermercato fu in piazza Maggiore - dal quotidiano "Il Resto del Carlino" del 17/06/2010.
₁₄ Canton de' Fiori era una via di Bologna tortuosa e stretta, il cui nome fa riferimento alla zona in cui si vendevano fiori freschi tutto l'anno. Sostituita dalla costruzione della nuova via Indipendenza, tra il 1885 ed il 1889, collegava via Rizzoli a via Altabella, dove era ancora presente piazza San Pietro, davanti alla Cattedrale.
₁₅ Nel Bolognese la coltura della canapa ha toccato la massima estensione negli anni Settanta dell'Ottocento, contribuendo, assieme alla risicoltura, all'estensione della manodopera bracciantile. La produzione si è però ridotta sensibilmente con la crisi agraria degli anni Ottanta e la crisi è giunta al culmine nel 1905.
₁₆ Augusto Sezanne, nato a Firenze e formatosi a Bologna, è colui che ha progettato la Palazzina Majani in stile Liberty, sempre su via Indipendenza.
₁₇ Il Cavalciotto è una pescaia posta a Santa Lucia che risale al secolo XI ed è una componente fondamentale del complesso sistema idrico pratese, costituito da ben 53 chilometri di gore che partendo da lì attraversano tutto il territorio pratese per poi andare a gettarsi nel fiume Ombrone. La funzione principale del Cavalciotto era quindi quella di deviare il naturale corso del Bisenzio per dare vita al cosiddetto Gorone, la prima e più grande gora di Prato.
₁₈ Le gualchiere erano macchine mosse da una ruota idraulica con magli, che servivano un tempo, per battere la stoffa (sodare) conferendogli la consistenza del feltro.

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