3 febbraio 2025

IKAT

Ikat [pronuncia: ēkät] - termine che deriva dalla parola malese mengikat che significa annodare, legare.

Antica tecnica di “tintura a riserva”, cioè un tipo di tintura dove parti dei filati di cotone o seta  (ma si usa anche il lino) vengono protette tramite una stretta legatura per non essere tinte, mentre le parti non legate si colorano per la decorazione di tessuti (che presentono lo stesso nome e che sono destinati a particolari cerimonie culturali); ottenuta, mediante complesse operazioni di tintura del filato da tessere, impedendo al colore di passare in certe zone, stringendo e avvolgendo entro nastri i fili raggruppati (secondo un disegno) che si vogliono tingere in altro colore. La tonalità un poco passerà ugualmente dando quell'effetto tipico sfumato, che verrà sottolineato poi nel procedimento di tessitura. Il filato viene disposto in vari mazzetti, alcuni parti dei quali si ricoprono con fibra (in questi punti specifici utilizzando fili di cotone resistenti alla tintura e imbevuti di cera) allo scopo di renderle immuni da colorazioni durante il processo di tintura; si ottiene così un filato colorato soltanto parzialmente. Le matassine vengono poi trasferite nel bagno di tintura nell'ordine esatto in cui si trovano sul telaio, per evitare che il disegno si disfi. Solo allora si procede alla preparazione del telaio utilizzando i fili che risultano quindi già disegnati, e che una volta tessuto rivela un animato disegno decorativo.


veste Ikat, Asia Centrale, fondo raso (XIX secolo)


Nel caso dell'ikat multicolore, dopo ogni bagno di tintura le matassine vengono lasciate asciugare e stese nuovamente sul telaio per il secondo ciclo di legatura e tintura. E qui si vede il genio del maestro tessitore, perché la difficoltà sta proprio nel creare un disegno con le varie operazioni di tintura che si succedono, nella stessa tonalità o combinando una nuova tintura con le parti tinte in precedenza per creare un nuovo colore. Quando si tratta di tintura naturale, ogni colore richiede una temperatura e condizioni diverse, quindi anche questo è un aspetto da considerare: più colori ci sono, più è difficile creare un disegno.¹

Il tessuto può essere di due tipi: Ikat semplice, dove si tingono i fili che compongono solo l’ordito, il che significa che l'ordito - il filo longitudinale - viene manipolato per creare il disegno (sono in particolare gli Ikat dell'Asia centrale), o solo la trama e Ikat doppio dove si colorano entrambi.

Il motivo ikat è presente in molte culture dell'Asia meridionale, sud orientale e centrale (Uzbekistan, Indonesia, Birmania oggi Myanmar, Malesia e India ed anche in regioni limitrofe come Iran, Iraq, Turchia), ma lo troviamo in Giappone, in America centrale e meridionale.



foto: © Teixits Riera


I motivi ikat hanno bordi precisi o sfumati (una volta i disegni più nitidi erano considerati più preziosi), ma oggi prevalgono quelli con una leggera sfocatura con disegni “piumati” o simili a nuvole, che è diventata un segno distintivo della stampa ikat. Le stampe ikat solitamente presentano motivi geometrici, come strisce, punti e chevron tinti in colori vivaci e audaci. L’ikat si distingue facilmente dalle imitazioni stampate, per la tipica compenetrazione e fusione dei colori nei punti di inizio e fine dei disegni.

⛔ Questa tecnica è diversa dal procedimento dei tessuti batik perché dove la tintura viene fatta sul tessuto e non sui fili prima di tesserli: le zone, i contorni che non si vogliono tingere si coprono con cera o con altro materiale impermeabile.

Oggi le stoffe ikat vengono fatte industrialmente ed hanno visto l'interesse di importanti fashion designer che lo ripropongono talvolta nelle loro collezioni.


Armani Privé - Primavera / Estate 2020


IMPIEGHI - La tecnica ikat viene utilizzata in vari tessuti, come sciarpe, sari, materiali per abiti ed accessori e tessuti per l'arredamento della casa.



Molto simile era la realizzazione dei tessuti

Chiné à la branche, definizione data al procedimento in Francia nel XVIII secolo, dove ebbe grande successo e diffusione soprattutto nell'abbigliamento femminile. Lo chiné europeo del Settecento riprende questa tecnica; a partire dal primo Ottocento, per ridurre tempi e costi di esecuzione senza rinunciare al fascino dell'effetto sfuocato, si ricorre alla stampa diretta dei fili d'ordito, procedendo poi nella tessitura.


taffetas chiné, Francia, sec. XVIII seconda metà



STORIA - Il periodo di maggiore fioritura per i tessuti ikat del centroasiatica fu probabilmente il XIX secolo, e fra tutti gli splendidi tessuti prodotti in quel periodo restano ineguagliate le sete policrome, oggi prodotte industrialmente per via dell'elevata richiesta. Questo tipo di tintura a riserva esisteva già in epoca anteriore. Uno degli aspetti più straordinari apprezzati delle sete ikat centroasiatiche era la gamma di colori intensi ottenuta con l'uso di colori naturali. Dopo il 1865, quando l'annessione da parte della Russia pose fine ai khanati uzbeki, l'arte tintoria, tramandatasi pressoché inalterata sin dal medioevo, subì un profondo cambiamento. A fine secolo la disponibilità di coloranti sintetici presso i bazar causò il progressivo abbandono delle tinte naturali tradizionali.¹

mantello baghmal, o ikat di velluto di seta (XIX secolo)


L'ikat era utilizzato in gran parte per la confezione di splendidi capi - vesti, abiti e copricapi particolari - per le classi facoltose delle città, ma anche indumenti policromi per i nomadi. Certo, fino a meno di un secolo fa era privilegio delle famiglie nobili confezionare ed indossare abiti ikat, soprattutto quelli pregiati, e chi violava la norma poteva anche essere punito con la morte. Poi sono arrivati gli olandesi, che in un primo momento hanno rotto quel monopolio speciale (molti ufficiali e mercanti hanno acquistato ikat) e in seguito ne hanno incoraggiato la produzione, perché il tessuto aveva un ottimo mercato a Giava.


Donne di una famiglia tagika con il tipico abbigliamento odierno
dei piccoli centri del Turkestan: kurta e pantaloni arricciati in vita.
Oggi l'ikat di questi abiti è prodotto industrialmente.
foto da: © Patricia Rieff Anawalt, Storia Universale del Costume, Ed. Mondadori, 2008, p. 143


Purtroppo l'aumento della produzione ha comportato anche un impoverimento della qualità e già nel 1920 non erano molti gli ikat fatti con le tecniche abituali e con i disegni tradizionali. Si dice che un tempo per la colorazione fosse particolarmente apprezzato il sangue dei moribondi. Il lavoro dell'ikat è tradizionalmente una occupazione tutta femminile. Infatti sono le donne che piantono il cotone, lo raccolgono, lo lavorano e lo filano, sono sempre lavoratrici coloro che producono le tinture (laddove si procede ancora con i metodi tradizionali), preparano le decorazioni e procedono alla tessitura. Un ikat era il risultato di un lavoro molto lungo e complesso. La filatura avveniva tra luglio e ottobre, l'ordito e i disegni erano preparati tra settembre e dicembre, poi al termine della stagione delle piogge, di solito in aprile, si preparavano i colori cardine (blu e kombu), quindi in agosto si iniziava la tessitura. Perciò per fare un ikat ci voleva più di un anno. Il filo del cotone viene rafforzato in bagni indurenti di cassava grattugiata (pianta denominata anche yuca, più nota come manioca, che ha una radice a tubero). Alcuni esemplari sono esposti nei musei di Rotterdam e di Basilea.

Sono noti i preziosi tessuti di cotone
del Nusa Tenggara e in modo particolare di Sumba (Indonesia) con disegni tradizionali.
Mentre gli ikat di Flores sono caratterizzati da immagini astratte o geometriche, quelli di Sumba hanno figure di animali (un tempo solo cervi, bufali, galline, serpenti, coccodrilli, tartarughe, lucertole, poi, con le influenze straniere, anche leoni olandesi e draghi cinesi), ma fino all'inizio del '900 dovevano celebrare l'epopea di una famiglia aristocratica, quindi venivano raffigurati anche guerrieri a cavallo o teste mozzate dei nemici.

Le tecniche di produzione sono un po' cambiate in questi ultimi cent'anni. Oggi infatti vengono usati colori prodotti industrialmente, mentre un tempo per i colori si ricorreva solo ad elementi minerali e vegetali, ad esempio il kombu (rosso ruggine) veniva ricavato dalla corteccia e dalle radici del kombu, un albero molto diffuso a Sumba sud-est.



Ritratto di K. B. Kustódiev, figlio del pittore (1922) *
Boris Michajlovič Kustódiev (1878-1927)
olio su tela
Museo Nazionale d'Arte della Repubblica di Bielorussia - Minsk 


È qui ritratto in una vestaglia in tessuto Ikat, all'età circa di 44 anni.


Noti sono i velluti di seta baghmal, con il quale si realizzavano straordinari pannelli murali e vesti lucenti. (Patricia Rieff Anawalt, Storia Universale del Costume, Ed. Mondadori, 2008, pp. 142-143) 


CURIOSITA' - L’ikat è il tessuto nazionale dell’Uzbekistan, ogni sposa uzbeka deve avere nel suo corredo i teli di “Khan-Atlas“, come gli uzbeki chiamano l’ikat in seta, che significa “raso di seta reale”, un tessuto lussuoso, morbidissimo al tatto, che brilla delicatamente alla luce. In Uzbekistan il tessuto è diventato una sorta di simbolo di prestigio nella cultura del Paese. Il nome locale dell’ikat è abr (che significa “simile a una nube in persiano), perché i disegni ricordano nuvole leggere che fluttuano nel cielo e si riflettono nell’acqua di un fiume.

L'ikat è anche ampiamente utilizzato nelle attività religiose in India, in particolare nella penisola del Gujarat, dove è considerato un tessuto sacro.

La Spagna, e precisamente a Maiorca (isola del Mediterraneo che fa parte dell'arcipelago delle Baleari), vanta di essere l’ultima destinazione europea dove l'ikat è ancora in produzione; lontano ormai dagli ikat originali, ora è chiamato tela de llengüe o roba de llengos, ovvero "panno delle lingue" per via delle fiamme o lingue di fuoco che si ripetono nei motivi.


❗ Per le foto riprodotte su questo post rimango a disposizione degli eventuali aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare.


Rames Gaiba
© Riproduzione riservata

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Leggi anche:
  • SARI
    Indumento tradizionale delle donne dell'India.

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