30 giugno 2025

PUBBLICITÀ “CENSURATE” NELLA MODA


Con questo post ho inteso far conoscere (solitamente il pubblico medio ne percepisce la sola dimensione commerciale) il valore culturale della comunicazione pubblicitaria insito nella sua capacità di rappresentare valori e modalità espressive della società, e di evidenziare nel contempo la capacità della business community della comunicazione di esprimere un elevato grado di responsabilità sociale.

Quello della moda è un settore in cui, per lungo tempo, la provocazione è stata la via più breve per risaltare e dare uno stile e una riconoscibilità a un brand (si pensi agli esempi più classici delle campagne di Sisley e Benetton negli anni Novanta). Non c’è dubbio che, proprio grazie a questo tipo di campagne, i rispettivi brand abbiano ottenuto notevole visibilità. Lo strumento promozionale, in questo caso, non è il sesso, ma la censura stessa, ed è per questo che io - come curatore del blog - ho scelto di non “censurare” queste pubblicità controverse.

Ogni allusione al sesso serve a svegliare l'attenzione del pubblico, dicono gli esperti della comunicazione. Abbastanza eloquente è la traiettoria del pudore nella pubblicità, dalle censure degli anni Sessanta e Settanta alle immagini non convenzionali di fine Novecento, fino all'abuso del messaggio sessuale, che forse non stupisce più ma dà assuefazione.¹


Nelle campagne pubblicitarie di moda, trionfo di stile, ma spesso anche di corpi in mostra, è delicato e sottile il confine tra empowerment e oggettivazione.²
 Nella pubblicità le immagini della biancheria suggeriscono che gli slip e il reggiseno servano a eccitare chi guarda e non a coprire chi li indossa.


Eva Herzigova - reggiseno Wonderbra, 1994
con lo slogan «Guardami negli occhi»


David Beckham - Emporio Armani underwear, 2017 


United Colors of Benetton: galeotto fu il bacio…

Una pubblicità, questa del bacio a fior di labbra tra prete e suora, che ha scatenato le ire del Vaticano, e di numerose associazioni religiose tra Italia, Francia e Germania. Una mossa furbetta del brand che la censura, sia italiana che d’Oltralpe, non ha potuto non mettere a tacere.     


United Colors of Benetton - Oliviero Toscani (1991)


La collaborazione tra la Benetton e il grande fotografo Oliviero Toscani inizia nel 1982 che in vent'anni³, grazie a una serie di manifesti tra i più discussi nell'intera storia della pubblicità, ne fa una delle marche d'abbigliamento più conosciute al mondo. Giocando sullo slogan "United Colors of Benetton" (Colori Uniti di Benetton), realizza immagini che, al di là di precisi obbiettivi di mercato, affrontano problematiche sociali mai toccate prima d'ora dal mondo della pubblicità commerciale. Le sue affiche affrontano i temi del razzismo, dell'ecologia, del sesso, dell'Aids (memorabili, in proposito, due scatti: quello con la composizione di preservativi colorati sistemati come tanti spermatozoi e quello con il malato terminale che ha le sembianze di Cristo). In questi anni Toscani perfeziona un linguaggio che ha fatto della provocazione un'arte. Attraverso lo scandalo, lo choc, il disorientamento generato dai suoi lavori ha voluto colpire con dura forza il castello di pregiudizi, ipocrisia, perbenismo, malafede ideologica, convenzioni comportamentali - e visuali - dentro al quale è saldamente barricata gran parte dell'opinione pubblica. Questa foto, tutta orchestrata sul contrasto bianco-nero, coglie un bacio casto, ma vibrante di innegabile passione, tra un prete e una suora; nell'interpretazione dell'autore, i due, prima ancora che religiosi, sono innanzi tutto un uomo e una donna. Anche quando sembra che nell'immagine  non ci sia alcun riferimento al prodotto, come in questo caso, esiste sempre una corrispondenza cromatica e simbolica con lo slogan, secondo il quale la gioia del colore abbatte ogni barriera, da quella della pelle a quella di una divisa. Per le campagne Benetton  Toscani ha ricevuto alcuni tra i riconoscimenti più prestigiosi del settore, come il Grand Prix dell'Unesco e il Grand Prix dell'Affichage.


L'ultima cena tutta femminile (2005)
campagna pubblicitaria di Marithé e François Girbaud
foto di Brigitte Niedermasir
 


Quest’immagine, che riprende il Cenacolo di Leonardo in versione tutta femminile, dove però c'erano dodici modelle (alcune delle quali in jeans) in luogo degli apostoli è stata utilizzata qualche anno fa per uno spot per la casa di moda Girbaud. Il gruppo cattolico francese «Croyances et Liberté» li trascinò in tribunale chiedendo il sequestro della pubblicità, e i Girbaud persero la causa in prima istanza, ma vinsero in appello.⁴ All'epoca, siamo nel 2006, venne censurata dal comune di Milano perché ritenuta offensiva nei confronti del sentimento religioso (non è stata certo la prima né sarà temo l’ultima). A parte questo ci sono diversi aspetti curiosi che mi interessa sottolineare:

1) L’affresco di Leonardo ha praticamente creato un paradigma universale di come deve essere rappresentata l’Ultima Cena. Pensateci un attimo: i dipinti che raffigurano questo episodio dei Vangeli sono centinaia, se non migliaia, ma quando qualcuno deve riproporre un’immagine sceglie inevitabilmente quella di Leonardo.

2) Nella fotografia ci sono i concetti di "femminilizzazione" o di ""transgender" in connessione al lavoro dell'artista che ha sostituito gli apostoli e Gesù da donne e la donna (forse "Maria Maddalena"), da un uomo. Guardando la foto ci sono diversi particolari anomali: una mano sotto il tavolo sulla quale è posata una colomba. Una delle “apostole” con tre gambe, e più in generale non tutte le gambe sotto al tavolo sono riconducibili a qualcuno.

3) Il traditore, Giuda, è un uomo a differenza di tutte le altre.

La rivoluzione sessuale e la pubblicità

In passato, il massimo dell'erotismo di solito era affidato alle gambe, lunghe e affusolate, della pubblicità per le calze delle "donnine" di Boccasile, tentato dal nudo non soltanto per la lavanda della Paglieri.  Ma già nel '70 il messaggio si fa più audace con il Carosello per la birra Peroni, con un messaggio che ammicca sensualità
Chiamami Peroni, sarò la tua birra”. Fior di Vite della Ramazzotti, mostrando una bella ragazza, fa scrivere: «Una bionda nel sacco. Bionda naturale, forte e gentile. Un "corpo" morbido, caldo. Un profumo sottile e stimolante. Se vuoi è tua. E' nel sacco fino al collo. Se pensi di essere uomo abbastanza da farti una bionda, prova a fartene due: Fior di Vite - Grappa Stravecchia Ramazzotti». È evidente il doppio senso del termine enologico "corpo".

Si era già pronti alla campagna pubblicitaria della primavera del 1973 dell'Agenzia Italia di Gianni Muccini.


Campagna pubblicitaria Jesus Jeans
Oliviero Toscani e Emanuele Pirella, 1973
 

Questa pubblicità scandalizzò Pier Paolo Pasolini che contestò aspramente lo slogan (non la foto) con una analisi linguistica apparsa il 17 maggio 1973 sul  "Corriere della Sera". Già dal nome "Jesus Jeans" (Jesus, un nome bi-millenario). Il testo, di Emanuele Pirella (un maestro della pubblicità italiana, qui alle prime prove) e Michael Goettsche dell’agenzia Italia, riprende le parole di Cristo "Chi mi ama mi segue" e quelle, adattate, del primo comandamento «Non avrai altro jeans all'infuori di me». In realtà, la frase «Chi mi ama mi segua» non è una citazione dal Vangelo ma un’esortazione pronunciata dal re di Francia Filippo il Bello durante una battaglia. Quella del Vangelo di Matteo dice: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua». L'immagine è di Oliviero Toscani, quarantenne fotografo e creativo la cui storia, da lì a pochi anni, si intreccerà fortemente con quella della comunicazione Benetton.  Erano gli anni Settanta, li produceva un giovane imprenditore, Maurizio Vitale, con i telai del Maglificio Calzificio Torinese (già proprietario del marchio Robe di Kappa), che desidera lanciare i suoi hot pants in tessuto jeans, che battezza Jesus (è il momento del successo mondiale del musical Jesus Christ Superstar). Nella prima foto abbiamo un'immagine raffigurante un personaggio dal sesso dubbio (androgeno) a petto nudo e con i jeans sbottonati che lasciano intravedere in penombra il pube senza biancheria, al limite dei peli pubici; nell'altro, ancor più celebre, le natiche della modella americana Donna Jordan, semicoperte da short particolarmente succinti. 




L' “Osservatore Romano” è ovviamente indignato, e a Palermo il pretore Vincenzo Salmeri, celebre per le sue lotte al bikini sulle spiagge, sequestra il manifesto della zip che parafrasa il primo comandamento ed è "chiaramente contrario al buon costume in riferimento alla legge 12 dicembre 1960 n. 1591, e costituisce vilipendio anche alla religione". Pure il Giurì del Codice di lealtà pubblicitaria nel 1974, condanna la campagna sulla base dell'art. 2 del codice (che proibisce le situazioni "che secondo il gusto e la sensibilità correnti, debbono ritenersi volgari o ripugnanti").



Tasca disegnata sul gluteo
(miss Levi's, agenzia Young & Rubicam)


Nel 2008 Oliviero Toscani ha deciso di riproporre questa seconda idea, lievemente modificata, per la campagna pubblicitaria del quotidiano l'Unità.  In questo ultimo caso il "lato B" è quello della figlia di Oliviero Toscani.




Da: "Scritti corsari",  Ed. Garzanti (1975) Pier Paolo Pasolini scrive:

" [...]   Coloro che hanno prodotto questi jeans e li hanno lanciati nel mercato, usando per lo slogan di prammatica uno dei dieci Comandamenti, dimostrano - probabilmente con una certa mancanza di senso di colpa, cioè con l’incoscienza di chi non si pone più certi problemi - di essere già oltre la soglia entro cui si dispone la nostra forma di vita e il nostro orizzonte mentale. 

C’è, nel cinismo di questo slogan, un’intensità e una innocenza di tipo assolutamente nuovo, benché probabilmente maturato a lungo in questi ultimi decenni (per un periodo più breve in Italia). Esso dice appunto, nella sua laconicità di fenomeno rivelatosi di colpo alla nostra coscienza, già così completo e definitivo, che i nuovi industriali e nuovi tecnici sono completamente laici, ma di una laicità che non si misura più con la religione. Tale laicità è un “nuovo valore” nato nell'entropia borghese, in cui la religione sta deperendo come autorità e forma di potere, e sopravvive in quanto ancora prodotto naturale di enorme consumo e forma folcloristica ancora sfruttabile. 

Ma l’interesse di questo slogan non è solo negativo, non rappresenta solo il modo nuovo un cui la Chiesa viene ridimensionata brutalmente a ciò che essa realmente ormai rappresenta: c’è in esso un interesse anche positivo, cioè la possibilità imprevista di ideologizzare, e quindi rendere espressivo, il linguaggio dello slogan e quindi presumibilmente, quello dell’intero mondo tecnologico. Lo spirito blasfemo di questo slogan non si limita a una apodissi, a una pura osservazione che fissa la espressività in pura comunicatività. Esso è qualcosa di più che una trovata spregiudicata (il cui modello è l’anglosassone “Cristo super-star”): al contrario, esso si presta a un’interpretazione, che non può essere che infinita: esso conserva quindi nello slogan i caratteri ideologici e estetici della espressività. Vuol dire - forse - che anche il futuro che a noi - religiosi e umanisti - appare come fissazione e morte, sarà in un modo nuovo, storia; che l’esigenza di pura comunicatività della produzione sarà in qualche modo contraddetta. Infatti lo slogan di questi jeans non si limita a comunicarne la necessità del consumo, ma si presenta addirittura come la nemesi - sia pur incosciente - che punisce la Chiesa per il suo patto col diavolo. L’articolista dell'"Osservatore" questa volta sì è davvero indifeso e impotente: anche se magari magistratura e poliziotti, messi subito cristianamente in moto, riusciranno a strappare dai muri della nazione questo manifesto e questo slogan, ormai si tratta di un fatto irreversibile anche se forse molto anticipato: il suo spirito è il nuovo spirito della seconda rivoluzione industriale e della conseguente mutazione dei valori".


Sisley






Nel 2003, Sisley lancia la sua campagna con protagonisti un toro e modelli. Del toro, vediamo appena le corna; la modella lo guarda con desiderio. 



In un'altra immagine vediamo, sempre, appena le corna del toro ed un modello con i jeans abbassati.


C’è un parallelismo fra l’energia sessuale femminile e maschile e l’animale da combattimento. Sarà proprio questo parallelismo a scatenare le controversie nei confronti di questa campagna.


Dolce & Gabbana


Questo spot di Dolce & Gabbana fu censurato in Spagna,

e non sono mancate le polemiche anche in Italia (marzo 2007) 


Calvin Klein Jeans

Lo stilista americano fondatore dell’omonimo marchio è famoso per lo stile minimal e  ha lasciato un segno nella moda degli ultimi 30 anni: quelle a cui tutti lo associamo, più o meno inconsapevolmente, sono le pubblicità estremamente sensuali e provocatorie e l’aver plasmato l’idea di bellezza ed erotismo degli anni Novanta. 

Scrive Vanessa Friedman, la critica di moda del New York Times, che
«Nessuno ha saputo sfruttare il sesso meglio di Calvin Klein. In un’epoca precedente a internet ha costruito un’azienda di successo in tutto il mondo sulla potenza di immagini incredibilmente provocatorie. Le sue campagne pubblicitarie furono virali prima ancora che esistesse il concetto, montando sulla marea dell’indignazione e dell’ossessione per l’aspetto fisico».


La serie CK della collezione autunno-inverno 1995 fu criticata per la campagna pubblicitaria  1995, realizzata dal fotografo Steven Meisel. Infatti i modelli sembravano molto giovani e per questo Calvin Klein dovette dimostrare che si trattava di persone maggiorenni.


Censura in USA per lo spot del 2010, sempre realizzata da Steven Meisel. 
Molti vi videro una scena di sesso di gruppo.


Calvin Klein colpisce ancora la sensibilità (o forse dovremmo scrivere "il senso del pudore") della tv commerciale americana.




 
Questa pubblicità del 2010 in Australia è stata bloccata
perché l'immagine della modella Lara Stone seminuda e contornata da modelli uomini
sembravano rappresentare uno stupro di gruppo.


La campagna pubblicitaria porta la firma di Steven Meisel e si caratterizza per la sua qualità video "granulosa" ed è stato vietato in America. La campagna ha come modelli: Anna Jagodzinska, Anna Selezneva, Natasha Poly, Edita Vilkeviciute, Carson Parker, Danny Schwarz, Vladimir Ivanov e il nuovo volto Mikus Lasmanis con indosso i loro Calvins.

Gucci 



Nel 2003 la campagna pubblicitaria per la collezione Primavera/Estate di Gucci, voluta da Tom Ford, stilista  e direttore creativo, proponeva la fotografia di un giovane inginocchiato davanti ad una donna. Il ragazzo guarda la modella (Carmen Kass) con lo slip a metà gamba e il pube rasato in modo da evidenziare una lettera “G” simile al logo Gucci. Il Giurì ha censurato (l'immagine fu vietata praticamente ovunque) il messaggio perché sostiene che la lettera rasata sul pube è quasi un marchio e Il corpo viene quindi equiparato, ad un qualsiasi prodotto griffato e, come tale, mercificato.



Marta Boneschi - Il comune senso del pudore; Ed. il Mulino, 2018, p. 165
Elena Fausta Gadeschi - “La censura della campagna di Calvin Klein con Fka Twigs fa discutere”; Pubblicato su Elle, 12/01/2024. Empowerment è l'insieme di azioni e interventi mirati a rafforzare il potere di scelta degli individui e ad aumentarne poteri e responsabilità, migliorandone le competenze e le conoscenze. (voce da vocabolario Treccani - Dizionario di Economia e Finanza (2012).
La collaborazione tra Oliviero Toscani e Benetton ha avuto due periodi principali. Il primo, il più famoso, si è svolto tra il 1982 e il 2000, e ha visto Toscani creare campagne pubblicitarie innovative e provocatorie per il marchio. Il secondo periodo è iniziato nel 2017, con il ritorno di Toscani per affrontare il tema dell'integrazione, ma si è interrotto nel 2020 a causa di alcune dichiarazioni controverse. «Quello di Oliviero Toscani (1942 - 2025) è senza dubbio uno dei nomi che ha maggiormente rappresentato il cambiamento della comunicazione pubblicitaria. Le pubblicità rivoluzionarie della Benetton hanno contribuito a far diventare il brand di "moda democratica" un fenomeno mondiale riconosciuto, riaffermando il concetto fondante del Gruppo: United Colors di Benetton no solo in riferimento all'armonia tra le tinte dei capi di abbigliamento ma anche come pacifico accordo fra le razze umane. Anticonformista e provocatore, Toscani ha lavorato con famosi giornali e griffe, e il suo "shockvertising"[termine anglosassone che nasce dalla fusione delle parole Shock (letteralmente: urto, impressione violenta, scossa) e Advertising (cioè pubblicità), ed è impiegato per definire quelle réclame in grado di creare un forte impatto emotivo nei destinatari, spesso utilizzata per veicolare messaggi di utilità sociale - N.d.C.] è stato esposto nei musei d'arte più noti.» (Candy Valentino - Ceoworld Magazine). 
Remo Guerrini - Bleu de Gênes; Ed. Mursia, 2009, p. 142
₅ Questo scritto è stato pubblicato il 17 maggio 1973 sul "Corriere della Sera" con il titolo "Il folle slogan del Jeans Jesus". Pasolini, in sintesi, diceva che questo "slogan" fatto per impressionare in realtà è mostruoso perché è legato agli stereotipi e gli stereotipi sono la negazione della libertà, della espressività. Pasolini si riferisce qui ai "Jeans Jesus" pubblicizzati ai suoi giorni con lo slogan "non avrai altro jeans all'infuori di me".
il Post - Cosa ha cambiato Calvin Klein; articolo non firmato, 19 novembre 2017.


📌 Tutte le immagini qui presentate si trovano oggi in rete, senza alcuna limitazione.


Rames Gaiba
© Riproduzione riservata

26 giugno 2025

ESPADRILLAS

Espadrillas - Dal francese antico espadrille (o espadrille), da espadrilloche a sua volta deriva dal vocabolo catalano (lo stesso in provenzale antico): espardenya, che significava un tipo di scarpe fatte di espart, il nome catalano di sparto, una pianta mediterranea nerboruta usata per fare le corde, della cui fibra erano fatte in origine le suole.

Scarpa originariamente povera, senza tacco, di origine spagnola (Paesi Baschi e Catalogna) e portoghese, fatta con fibre vegetali, costituita da una suola in corda intrecciata in canapa o juta (ne occorrono 75 m) cucita ad una tomaia di tela abbastanza resistente in cotone o lino. Le suole sono la parte di lavorazione più complessa. Le fibre vengono prima intrecciate insieme meccanicamente. Poi, la treccia viene inserita in uno stampo a forma di suola, con un trattamento termico per ottenere la forma corretta, dopo di che viene fissata con punti di cucitura verticali. Quindi può essere, volendo, inserito lo strato inferiore di suola vulcanizzata. Infine, il tessuto è cucito sulla suola. Disponibili in innumerevoli colorazioni, sia in tinta unita sia in fantasia, le espadrillas sono utilizzate durante l'estate.


La versione femminile può aggiungere zeppa e lunghi lacci da annodare alla caviglia, e possono essere aperte come un sandalo.





Valentino  si concede qualche infedeltà e lancia con la collezione primavera 2012
il modello in versione haute couture con tomaia in pizzo trasparente.


Come sono prodotte le suole in corda per espadrillas - Oggi ci sono nette differenze tra le suole di espadrillas antiche e quelle moderne; non solo nello stile ma anche nei materiali utilizzati. La suola è ora realizzata in juta, una fibra vegetale naturale riciclabile e biodegradabile al 100%. La coltivazione della iuta aiuta a ridurre l'impronta di carbonio. Si stima che un ettaro di juta consumi circa 15 tonnellate di anidride carbonica e rilasci circa 11 tonnellate di ossigeno La juta cresce senza l'uso di fertilizzanti e pesticidi, la pianta matura molto rapidamente e si basa solo sulla pioggia naturale per crescere, ecco perché la juta è considerata una risorsa efficiente e sostenibile.

Le espadrillas sono realizzate con materiali naturali rinnovabili e biodegradabili. Inoltre, richiedono poca energia per la produzione e il trasporto, il che le rende un'opzione più ecologica rispetto ad altri tipi di calzature.

Le espadrillas  rimangono dalla parte giusta della storia. 
Anche se può essere ancora strano per molti vedere le calzature da operaio vendute ad un prezzo di alta moda, in Europa è ancora abbastanza comune vedere persone in giro con un paio di espadrillas casual ad un prezzo basso, una scelta di stile che vale la pena di approvare. Le espadrillas sono una calzatura disinvolta, pratica e più rispettosa dell'ambiente rispetto alle infradito, ai sandali di pelle o alle scarpe da ginnastica. 
 



🇪🇸 In Spagna sono chiamate alpargatas
🇮🇹 In Italia sono, meno frequentemente, chiamate anche espadrilla.




STORIA - È una calzatura con una lunghissima tradizione. Nel Museo Arquelògico Nacional (Museo Archeologico Nazionale) di Barcellona (Spagna) è esposta una espadrilla trovata nella cueva de los murciélagos che si trova a Granada indossata da uomini approssimativamente 4000 anni fa. Già indossate dai pescatori spagnoli sono state importate dai napoletani nel 1200. Le espradillas sono entrate nella storia scritta per la prima volta nel 1322 tramite un testo catalano che fa riferimento a "espardenyas". Per secoli gli abitanti della moderna Spagna e del sud della Francia questa calzatura, di origini umili, indossate da contadini e fanti, la cui storia non è stata particolarmente documentata.¹ 

La scarsità di risorse durante la Seconda guerra mondiale contribuisce alla diffusione delle scarpe in rafia e canapa, fino a che Salvatore Ferragamo non le introduce nel mondo del lusso. A Hollywood, dopo la guerra,  si affermano grazie a Grace Kelly e Cary Grant.² 

Le espadrillas sono andate in lungo e in largo, apparendo ai piedi di molte personaggi di cultura al di fuori della loro terra di origine, persino John Fitzgerald Kennedy era un fan. Nella rivista giovanile franco-belga Spirou, erano indossati da un eroe dei fumetti di nome Gastone Lagaffe, prefigurando lo spirito emancipatore della rivolta giovanile del maggio 1968. Gli artisti catalani Pablo Picasso e Salvador Dalí sono stati spesso fotografati con le espadrilllas, che hanno contribuito a rendere popolare lo stile fra una folla alla moda e bohémien. 


Picasso e Dalì che calzano le espadrillas


Ora è un capo d'abbigliamento di tutto il mondo. Diventano di moda negli anni '70, quando nel 1972 uno stilista di nome Yves Saint Laurent ha collaborato con Castañer Atelier i produttori di espadrillas di lunga data³ Isabel Sauras e Lorenzo Castañer per creare un'espadrilla di raso con tacco a zeppa, che fa sfilare la scarpa nella storia della moda. Il resto è storia: il modello viene reso iconico da Diane Keaton che le indossa nel film “Provaci ancora, Sam” e da quel momento in poi le espadrillas diventano capo alla moda portato da tutti, uomini e donne, interpretato da tutte le case di moda.

Castañer Atelier
La creazione di un' icona (qui la storia e produzione)
 

CURIOSITÀ - L'antenato delle espadrillas. I frati benedettini usavano pedule con suole di corda (pedules); tale tipo di scarpa è ancora largamente usato ai giorni nostri con un nome straniero (espradrillas), mentre si tratta di una calzatura antichissima e tipicamente italiana.


Come per la maggior parte dei capi d'abbigliamento (esclusi quelli dei reali o dei potenti), così come per l'artigianato e l'arte popolare, questi sono stati trascurati dagli storici.
Hayley Edwards-Dujardin - Senza tempo. Gli essenziali della moda; Ed. L'ippocampo, 2024, Espadrillas, p. 130
Bisogna andare al 1776 quando Rafael le propone nella sua bottega artigianale. Nel 1927 Luis Castañer e Tomas Serra, suo cugino, scelgono di aprire la loro attività di produzione di espadrillas (o alpargates) a Girona, cuore pulsante della Catalogna. Il successo arriva più tardi, esattamente nel 1972 con Yves Saint Laurent.
₄ Lorena Imperio, Vestire nel Medioevo; Ed. Penne e Papiri, 2013, p. 73
 
 

Rames Gaiba
© Riproduzione riservata
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