27 aprile 2024

SFILATA

Sfilata - da "sfilare", da "fila",  nei significati di procedere in fila, uno dopo l'altro.

Nella terminologia della moda è la sfilata attraverso cui avviene la presentazione dei modelli di una Casa di moda o sartoria; essa è al tempo stesso uno strumento di comunicazione in quanto, suo tramite, mercato ed addetti ai lavori (licenziatari, buyers e i media) vengono informati su una collezione, ma anche di promozione visto che viene data la possibilità ai compratori di convincersi per i loro acquisti. L'ambiente, la coreografia, la scenografia, la musica, il casting, la regia, la presentazione, l'organizzazione, le modelle e i modelli, i capi presentati sono tutti aspetti che supportano in maniera determinante questo veicolo comunicazionale-promozionale; è appunto sfilata dopo sfilata che stilisti ed imprese costruiscono la loro immagine presso il pubblico e si conquistano spazi nel mercato della moda.

Tradizionalmente le sfilate di moda avvengono due volte all'anno, in quanto la loro funzione principale è aprire, con circa sei mesi di anticipo, il nuovo ciclo stagionale: le collezioni per l'autunno/inverno si presentano a gennaio/febbraio, le collezioni per la primavera/estate si presentano a settembre/ottobre prima l'uomo e poi l donna; con questi tempi di presentazione delle collezioni i clienti avranno la possibilità di ordinarle, le imprese di produrle e consegnarle ai punti vendita, i consumatori d' acquistare.

Le sfilate normalmente vengono fatte in punti vendita, in alberghi, in appositi spazi durante le fiere o in occasione di riprese televisive, negli stessi showroom.

Si usa anche il corrispondente francese défilé.

Francese
: Défilé de mode; Inglese: Fashion show; Tedesco: Modenschau; Spagnolo: Desfile de moda


Défilé de moda à Hangzhou, Cina


Fashion show 13 - Steven Dag
olio su tela, cm 30 x 24 


STORIA - Le sfilate di moda sono un’invenzione degli ultimi decenni dell’Ottocento. Prima di allora, le ultime novità della moda circolavano in Europa attraverso la stampa specializzata, i figurini, i dipinti che ritraevano le nobildonne, e le bambole. Corredate di un guardaroba completo e talvolta realizzate a grandezza naturale, le pupe – così erano chiamate le bambole-indossatrici – erano lo strumento di cui le sartorie si servivano per esporre al pubblico le proprie creazioni o per farle “sfilare” all’interno dei propri atelier.

Nel 1858 Charles Frédéric Worth¹, sarto inglese trasferitosi a Parigi, sarà il primo a mostrare alle sue clienti abiti già pronti, facendoli indossare da giovani ragazze chiamate "sosie", sono le prime indossatrici. 

Già negli anni '30, nel periodo del Fascismo, abbiamo anche in Italia le prime sfilate dell'Alta Moda²;

Sfilata dell'alta moda tenutasi nel Salone del Palazzo del Podestà a Bologna (1934)²


la storia delle sfilate in Italia, però, la si fa risalire, forse sottolineando un'apertura ad un pubblico internazionale, a1951 (il 12 febbraio) con la sfilata delle case d'alta moda italiana organizzata dal marchese Giovanni Battista Giorgini (“Bista” come tutti lo chiamavano)³ a Firenze nella sua residenza estiva a Villa Torrigiani in via dei Serragli. In quella occasione erano presenti dieci atelier⁴ e sono stati presentati 180 modelli; in luglio la manifestazione si è ripetuta al Grand Hotel di Firenze e, nel gennaio 1952, nella Sala Bianca di Palazzo Pitti.


Sfilata nella Villa Torrigiani - 12 febbraio 1951
foto Archivio Giorgini



Sfilata Alta Moda Italiana - Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze (1952)


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₁ Charles Frédéric Worth (1825-1895) diviene il più celebrato e famoso sarto dell'occidente, riconosciuto come il fondatore della grande couture. Trasferito a Parigi dopo aver compiuto la sua formazione a Londra nei quartieri dedicati alla vendita dei prodotti di lusso, diventa in un primo momento un esperto venditore di tessuti, poi sarto. Il suo crescente interesse per la moda femminile e la volontà di mettersi in gioco, lo portano a Parigi, dove trova lavoro come assistente alle vendite presso Gagelin, una delle più grandi e note mercerie della città. All'interno di questo negozio, a diretto contatto con i fornitori degli accessori di moda e le clienti, Worth accumula esperienza e mette in pratica le sue competenze. [...] Si fa così portavoce di un gusto, che propone all'inizio inconsapevolmente, confezionando semplici abiti in mussola di cotone che altro non avevano, in origine, lo scopo di far risaltare i mantelli in vendita nel suo reparto. Tali abiti superano il successo degli stessi mantelli e lo convincono nel 1858 ad aprire una sartoria in società con Otto Bobergh. (Il sarto nella storia della moda. In La nascita della haute couture. - Artisti del quotidiano; Ed. Clueb, op. cit., p, 26-27) 
₂ Sfilata di modelli a cura delle Patronesse bolognesi del Comitato Nazionale della Moda, tenutasi nel Salone del Palazzo del Podestà a Bologna il 27 e 28 maggio 1934. La foto è pubblicata in Il Comune di Bologna. Rivista mensile municipale, anno XXI, n. 6 (giugno 1934), p. 54, Bologna, Biblioteca dell'Archiginnasio.   
₃ Giovanni Battista Giorgini (1899-1971) era il resident buyer per l'Italia di vari grandi magazzini americani per articoli d'arte, da regalo e complementi d'arredo. Come scrive Guido Vergani nel Dizionario della Moda (voce: Giorgini Giovanni Battista) era Segugio del bello, del raffinato e buyer, compratore su commissione.
₄ Come atelier erano presenti: la principessa Giovanna Caracciolo per Carosa, le sorelle Fontana, Alberto Fabiani e Simonetta Colonna di Cesarò Visconti che poi ne diviene la moglie, Emilio Schuberth, le sartorie milanesi di Noberasko, Germana Marucelli e Jole Veneziani, l'autoctono marchese Emilio Pucci e la baronessa Clarerette Gallotti, più nota come La Tessistrice dell'Isola. La sfilata si tiene nel salone di casa, le modelle sono giovani dell'aistocrazia toscana. (Antonio Mancinelli - Moda; Ed. Sperling & Kupfer, 2006, p. 17)   


Bibliografia:
  • Fiorentini Capitani A. - Moda italiana anni Cinquanta e Sessanta; Ed. Cantini, 1991
  • Gnoli S. - Un secolo di moda italiana; Ed. Meltemi, 2005
  • Tosi Brandi E. (a cura di) - Artisti del quotidiano. Sarti e sartorie storiche in Emilia Romagna; Ed. Clueb, 2009


21 aprile 2024

CASTELLO DI ISSOGNE - Bottega di un mercante di stoffe e lavori sartoriali


Il ciclo degli affreschi delle botteghe artigiane che troviamo nelle lunette sotto il porticato - esempio di pittura alpina medioevale - nel Castello di Issogne [Château d’Issogne] raffigurano scene di vita rinascimentale, che testimoniano il buon governo della famiglia Challant, sono stati fatti nel periodo 1498 e il 1501 e sono attribuiti da ignoto pittore detto Maitre Colin (Maestro Colin), che troviamo a volte citato come "Magister Collinus", in virtù di un graffito, presente proprio al di sopra della panca nella lunetta del corpo di guardia, che appunto indica il suo nome come autore dell'opera.   


Bottega di un mercante di stoffe
affresco del Castello di Issogne, Valle d'Aosta, seconda metà del sec. XV


Bottega di un mercante di stoffe
particolare del sarto che confeziona una calza suolata
affresco del Castello di Issogne, Valle d'Aosta, seconda metà del sec. XV


Si noti la precisa distribuzione dei compiti all'interno della sartoria: sulla destra due personaggi misurano le pezze di tessuto, piegate ordinatamente sul banco; un terzo si occupa di tagliare i vari pezzi degli abiti, che poi vengono appesi sulla barra orizzontale, mentre l'ultimo personaggio cuce e confeziona i capi di abbigliamento.¹ 





VENDITA DI TESSUTI E LAVORI  SARTORIALI


Il lavoro principale del sarto era quello di tagliare e cucire; tagliavano o lavoravano panni nuovi (aliquod pannum novum incixerit aut laboraverit) e si occupavano della vendita di manufatti sartoriali (ex aliqua alia causa quam pro vendendo).

Quella dei sarti era una arte «lizera» giacché per l'esercizio di essa potevano bastare ago, filo e ditale.² Se però non richiedeva la disponibilità di consistenti capitali, con l'imporsi di fogge elaborate si resero necessarie conoscenze approfondite, una grande abilità e molta condiscendenza nei confronti di una clientela esigente e volubile. Scriveva il Garzoni: «cotesto mestieri, oltre che è pieno di mille varietà di punti (come di semplici, di doppi, di punto allacciato, di drieto punto, di gasi, di cadenelle, di gipature), porta seco diversità d'ornamento (perché chi vuole liste, chi cordoni, chi franzette, chi passamano, chi tagli, chi cordella, chi raso, chi cendado, chi velluto, chi nastro di seta, chi treccietta d'oro) non ha mai fine, e mai giornata si avriano tanto che i sartori ne sanno meno in lor vecchiezza che sul principio che aprono bottega».    

La bottega del sarto
affresco del Castello di Issogne, Valle d'Aosta, seconda metà del sec. XV


Un buon sarto con quel semplice ago, quel ditale e quelle forbici, che costituivano l'unica dotazione o quasi, doveva in sostanza fare miracoli: accontentare imperatori, principi e marchesi, dottori, frati e donne che «ogni giorno mutano usanza e modo di vestire».  Ciò accadeva non solo nel XVI secolo, ma a partire almeno dalla metà del Trecento.




Gli affreschi del cortile e del porticato


In epoca bassomedievale le scarpe quotidiane da uomo più frequentemente raffigurate erano basse, scure, dotate di cinturino oppure chiuse e alte fino alla caviglia. Potevano essere sia di cuoio che di tessuto e presentavano minime varianti che è facile scorgere visto l'abbigliamento degli uomini giovani che indossavano calze attillate e colorate sotto a corti farsetti. Contenevano il piede fino alla caviglia ed erano chiuse lateralmente da lacci ma, quando anche ne erano prive agevolmente calzabili grazie a scalvi laterali. Non di rado gli uomini avevano stivali che arrivavano al ginocchio oppure calze solate, cioè dotate di un rinforzo in cuoio per la pianta del piede distinguibile per spessore e colore. Il sarto della bottega di Issogne appare intento a confezionare proprio questo tipo di calza che nel corso del XV secolo, epoca alla quale risale l'affresco valdostano, passarono lentamente di moda.³

Secondo il compilatore settecentesco del Dizionario delle arti e dei mestieri, Francesco Grisellini, «il sartore munito di una striscia di carta addoppiata» e di un paio di cesoie, prima prende le misure, poi con le cesoie fa sopra al modello di carta diverse intaccature che gli serviranno da guida al momento del taglio, quindi «taglia in prima il dietro, i davanti e le maniche».⁴ Che il momento del taglio, inesorabile e definitivo, dovesse essere preceduto da ponderazioni e misure attente, lo prova il detto al quale fece ricorso Lorenzo il Magnifico per raccomandare la massima prudenza ai Malvezzi, che assieme ad altri ordirono una congiura contro Giovanni Bentivoglio: pare che abbia suggerito loro di «imitare il sarto che mille volta disegna et una sol volta taglia».  I congiurati in quel caso però non avevano disegnato abbastanza e alcuni fra loro finirono decapitati, altri impiccati.⁵

La lettura dell'inventario di una bottega di sarto conferma l'ipotesi che si trattasse di un'arte «lizera». Troviamo infatti pochi strumenti nella «apoteca» del riminese Pietro Calbelli: alcuni sacchi di lino e di cotone che servivano per imbottire farsetti e giubboni, cotone filato, «bombice» da filare.

I colori di Issogne


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Si nota la canna con la quale il venditore misura i tessuti, verosimilmente panni di lana, e la varietà dei colori delle pezze appoggiate una sopra l'altra sul bancone. In secondo piano appaiono appesi a un sostegno alcuni capi d'abbigliamento già confezionati. Il cliente indossa un corto farsetto stretto in vita. Si osservano in particolare le vesti rigate dei due sarti e le calze sempre a righe di colori vivaci con rinforzo al piede che uno dei due artigiani appare intento a confezionare. La confezione delle calze richiedeva abilità nel taglio di stoffe come il taglio di lana per riuscire a renderle aderenti alle gambe.  
₂ R. Greci, Corporazioni e mondo del lavoro nell'Italia padana medioevale, Bologna (1988), p. 249.
₃ Giorgio Riello e Peter McNeil - Scarpe. Dal sandalo antico alla calzatura d'alta moda - Ed. Angelo Colla, 2007, cap. Scarpe suntuose: produrre e calzare nell'Italia medievale, pp. 37-38, di Maria Giuseppina Muzzarelli.
₄ F. Grisellini, Dizionario delle Arti e de' Mestieri, 1743, vol. XV, p. 24.
₅ Si legge di ciò nelle cronache bolognesi, come è riferito in M. Poli e T. Costa, Storie sotto il voltone. Alla riscoperta dell'antico centro di Bologna, Bologna (1996), p. 49.


Vedute del castello



Veduta area del castello


Il maniero fu eretto nel XII secolo⁶ senza alcuno scopo difensivo ma come elegante palazzo nobiliare, in origine appartenente al vescovo di Aosta in seguito (Issogne rimase sede vescovile fino al 1379) il vescovo d'Aosta infeudò della giurisdizione della signoria l'allora signore di Verrès Ibleto di Challant⁷. Il castello, la cui apparenza esterna è poco appariscente, più simile ad una residenza rinascimentale, ha torri angolari non molto alte.





Dalla famiglia Challant il castello passò ai Madruzzo e ritornò ai Challant dopo un processo per la successione durato più di un secolo. Dalla morte dell’ultimo esponente della famiglia Challant nel 1804 il castello venne abbandonato per diversi decenni. Dopo vari passaggi di proprietà, nel 1872 fu acquistato dal pittore Vittorio Avondo, collezionista e conoscitore dell'arte medievale, il quale, con l'aiuto di altri artisti suoi amici, lo riportò all'antico splendore con accorti interventi conservativi e restauri. Ultimati i lavori, che durarono alcuni anni, il castello venne poi donato nel 1907 allo Stato italiano, che a sua volta nel 1948 lo cedette in proprietà alla Regione Valle d'Aosta.
 



L'ingresso e le lunette con il corpo di guardia
Gli affreschi di botteghe rinascimentali del Maestro Colin. 
Castello di Issogne, Valle d'Aosta, seconda metà del sec. XV

 
Lo stemma di Giorgio di Challant, ricorrente al Castello di Issogne 


Severo e quasi anonimo all'esterno, il castello rivela le preziosità architettoniche dei volumi interni e la magnificenza delle sue stanze e saloni. La pianta dell'edificio, di forma quadrangolare, è chiusa su tre lati; il quarto è formato dal giardino delimitato verso l'esterno da un semplice muro di cinta. 



Ingresso del castello di Issogne (lato ovest)


All'interno vi è il cortile che è un disimpegno aperto, dal quale si accede agli ambienti interni dei singoli piani.


Il cortile interno

Al centro del cortile venne collocata una fontana
, con la vasca ottagonale in pietra e l’elegante struttura con un albero di melograno in ferro battuto (dono per le nozze di Filiberto con Louise d’Aarberg nel 1502), simbolo di prosperità. 


 
Veduta del giardino e del cortile




Sul lato ovest si affaccia il porticato
, corredato da panche a muro con schienale. La facciata del cortile mostra gli stemmi della famiglia Challant e delle dinastie ad essa legate
, a far sfoggio della sua importanza. Al suo interno, l'androne e il porticato sono entrambi decorati (sette lunette) con affreschi riproducenti scene di vita quotidiana e mestieri di straordinaria freschezza espressiva (la bottega del sartola farmacia, la macelleria, il corpo di guardia, il mercato di frutta e verdura, la bottega del fornaio e beccaio, quella del formaggiaio e del salumiere), mentre la tipica decorazione geometrica quattrocentesca sottolinea, come del resto in tutti gli altri ambienti, la nervatura delle volte gotiche.



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₆ È citato il castello di Issogne è una bolla di papa Eugenio III del 1151, che attesta la presenza ad Issogne di una casaforte di proprietà del vescovo di Aosta.
₇ Il potere del vescovo era però contrastato della famiglia De Verrecio, signori di Verrès, e le tensioni culminarono intorno al 1333 con un assalto da parte di Aymon de Verrès alla casaforte vescovile, che fu data alle fiamme e seriamente danneggiata. Issogne rimase sede vescovile fino al 1379, quando il vescovo di Aosta infeudò della giurisdizione della signoria l'allora signore di Verrès Ibleto di Challant.  Ibleto iniziò così i lavori di ristrutturazione del castello trasformando la casaforte vescovile in una dimora complessa ed elegante, improntata sullo stile del gotico cortese, composta da una serie di torri e corpi di fabbrica racchiusi da una cinta muraria.



Come si arriva
Il Castello di Issogne è uno dei più famosi castelli della Valle d'Aosta. È situato nel capoluogo di Issogne (località: La Place), nell'abitato omonimo sul versante destra idrografica del fiume Dora Baltea. 

 Auto a meno di 1 km è Verrès, stazione autostradale della A5 (a 38 km da Aosta)

 Ferrovia (ore 1.45 per Torino, 50 minuti per Aosta)


Bibliografia
  • M. G. Muzzarelli, Guardaroba medioevale. Vesti e società dal XIII al XVI secolo, il Mulino, 2008


Rames Gaiba
© Riproduzione riservata

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17 aprile 2024

PIQUÉ | PIQUET

Piqué [piké] - termine francese; dal verbo piquer, col significato di piccato, punzecchiare.


1. Tessuto a telaio, in genere, di cotone o altre fibre anche in mischia con elastam, su armatura tela a due facce divergenti: una che sembra liscia (rovescio) l'altra a effetti ornamentali caratteristico per la sua superfice ad incavi e a rilievi, ottenendo effetti di costina, a rombi, a quadri, a puntini, a scaletta, ad occhio di pernice. È costituito da quattro elementi: due orditi (uno di fondo ed uno supplementare, molto lento) e due trame (una di fondo ed una per imbottitura) di diversa finezza. L'effetto è ottenuto dalla depressione prodotta dalla catena supplementare, fortemente tesa che passando sulle trame le obbliga ad abbassarsi in quel punto e a formare un incavo. Quando si presenta con righine sottili è detto “mille-righe” o “duemila-righe”. 

2. Tessuto a maglia realizzato su macchine monofrontura (base rasata) o bifrontura (base a costa o interlock) con punti di imboccatura o di maglie trattenute che creano sulla superficie del tessuto dei piccoli rilievi. Tipico è il piqué “Lacoste” (base maglia rasata) impiegato per la produzione di polo. La superficie a piccoli rilievi determina una buona capacità di assorbimento, mentre la base in rasata non comporta un eccessivo spessore. 

In italiano, frequentemente, è detto anche Picché. Talora si usa anche la dicitura Piquet. Meno usato il termine piccato

IMPIEGHI - È usato per capi estivi soprattutto per le polo ma anche camicie, abiti per bimbi, meno per abbigliamento maschile o femminile (giacche, gonne). Si realizzano in tessuto piquet a notevole rilievo i papillon dei frac. Il tessuto è impiegato anche nella biancheria da letto, in particolare copriletti e trapunte. I colori sono tradizionalmente chiari (classico il bianco).  


Giacca Armani Junior in piquet blu


CURIOSITÀ - Il marchio commerciale che reca cucito sul davanti dei capi un piccolo coccodrillo verde (molto conosciute le polo in piqué) ha preso il nome dal tennista René Lacoste (Francia, 1905-1996), soprannominato “le crocodile” (il coccodrillo) per la sua grinta, fondatore nel 1933 di una linea d'abbigliamento sportivo.

Il prodotto emblematico di Lacoste, secondo il direttore generale, nasconde il suo segreto di longevità «in un mix di qualità e innovazione». Mentre il procedimento di fabbricazione non è mai cambiato dal 1933: ci vogliono sempre 25 chilometri di un cotone a fibra estremamente lunga per concepire la texture a nido d’ape resistente del prodotto; i due bottoni di chiusura sono di madreperla, mentre ogni polo deve passare 16 controlli prima di arrivare sullo scaffale di un negozio.¹


René Lacoste

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₁ Lacoste, il successo in una polo - Articolo di Francesca Sottilaro; Italia Oggi, 29.08.2014



Rames Gaiba

14 aprile 2024

Murales dedicato alle sartorie a Diamante in Calabria




Diamante paese della costa tirrenica della Calabria (siamo in provincia di Cosenza), al centro della famosa Riviera dei Cedri, chemantiene  intatto nel tempo il suo fascino antico di paese di pescatori, ad oggi conta oltre 300 opere. Si è incominciato nel 1981, “un’autentica città di arte popolare, di un’arte fruibile dal popolo e per questo scritta o dipinta sui muri”¹, muri che si trasformano in arte e che donano un valore aggiunto ad una località che di per sé è già molto affascinante. Ad ogni angolo, sulle pareti delle abitazioni, colori, volti ed immagini disegnate dai migliori artisti del mondo riempiono di vita ed arte il paese. Si inizia con la figura dell'emigrante che mostrano una grande sensibilità per la cosiddetta «questione meridionale». Poi, nel 1986, ci sono le poesie scritte sui muri. Nel 2000 al posto dei dipinti ci sono le vignette. Nasce “Piazza della satira” e arrivano i più famosi vignettisti italiani. Nel 2006 è la volta delle “Fiabe calabresi”.

Nel borgo della parte vecchia, da dove tutto è cominciato, su un muro questo murales dedicato, immagino, alle sartorie.

Qui sono rappresentati:
  • Un ferro in ghisa a fornello, chiamati anche "battello", del periodo 1900-1910. In pratica hanno un contenitore per il carbone e una serie di feritoie che consentono l'alimentazione di aria per la combustione. Questo ferro aveva un coperchio incernierato sul quale era applicato un grosso manico di legno per non scottarsi; lungo i fianchi, una fila di fori faceva circolare l'aria sulle braci sistemate all'interno. 

    Viene in mente il proverbio: Il ferro da stiro è il ruffiano del sarto. [Perché riesce a far apparire presentabili indumenti sciupati]. 

  • Un manichino da sartoria. Il manichino nacque sul finire del secolo XVIII, ed era niente altro che una piccola bambola, lunga tre o quattro spanne, vestita di abitini  perfettamente ridotti sulle sue proporzioni, con una cura ammirevole. Ancora nei primi anni del XIX secolo, se ne trovavano in certe vetrine di provincia, tristi e fredde, e piacevano molto ai bambini. Queste bambole, naturalmente, servivano alla mostra dei modelli, ma non alla loro confezione; venivano spedite, in eleganti cassette, e dalla loro patria, che allora era Parigi, venivano inviate alla corte di Russia, ed in USA, quivi chiamate dalle ricche figlie di qualche piantatore; né mancavano di essere inviate in Italia a Torino, Milano, Roma, Firenze e Venezia. Assai presto queste graziose bambole dovettero dividere il loro regno, con i manichini di vimini, sformati, poverissimi. Però, evidentemente, i manichini di vimini non diedero molte soddisfazioni alle donne di allora. Forse la loro scheletrica magrezza le turbava, forse la loro bruttezza sembrava a molte un po’ irreverente. Fatto è che entrò in lizza il manichino imbottito: quel coso che se ne sta ritto su una gamba con tre piedi, e gira quand’uno lo spinge, e si lascia aprire il seno e il fianco, per ricevere iniezioni di ovatta. Solo sul finire del secolo XIX cominciarono le migliorie. Dapprima si attaccò al manichino imbottito una testa di cera, poi, oltre alla testa, un paio di braccia, poi tutto il busto, imponente, solido, liscio. Non più di cera, ma di legno; non più curve procaci, ma angolosità veramente lignee; non più epidermici di rosa e di latte-miele, ma vernici forate, bronzee, ecc.; non più chiome fluenti, ma striature nel legno e, talvolta, crani rotondi e lisci.

  • Le forbici da tagliatore, che possono avere una lunghezza fino a 50 cm e un peso fino a 1 kg. La loro manipolazione è agevolata dalla forma fisiologica degli anelli che si infilano al pollice e alle altre dita: indice, medio, anulare, mignolo. Un nasello (centro di movimento e di equilibrio) fornisce un appoggio durante il taglio.

    Anche qui il proverbio: Taglia lungo, e cuci stretto.
       

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¹ Come aveva immaginato Nani Razzetti, un pittore genovese di nascita, calabrese di adozione.  



4 aprile 2024

I JEANS ... dipinti


Il jeans come lo conosciamo, questo capo informale e sportswear, passato attraverso le classi umili e poi approdato sulle passerelle "griffate" dei più importanti stilisti della moda che lo hanno democratizzato, facendolo penetrare in banca, nelle riunioni di lavoro e persino alla prima del Teatro alla Scala di Milano¹, oltreché introducendo seconde linee giovani con un prodotto completamente diverso rispetto al  passato, come capo "icona", rappresentativo di un "tempo",
del modo di vestirsi a partire dal XX secolo.

Qui presento dei quadri, dipinti non su tessuto denim, in cui la visione può essere vista, "letta", come una identità collettiva che fa sì che la dicotomia tra le categorie della realtà e della finzione perda significato.

Questa rassegna di opere non poteva che iniziare che da Norman Rockwell
perché è dagli Stati Uniti che è partito il capo in jeans e perché quella americana è una delle più giovani società occidentali, con una storia che doveva essere costruita, figurata.

L'attenzione della società americana per l'immagine di se stessa, questo narcisismo sociale perpetrato dai mezzi di comunicazione, dal cinema, perfino dall'arte figurativa, non deriva forse dall'esigenza di determinare i tipi e i caratteri di na storia la cui assenza provocherebbe crisi d'identità? E l'uso indiscriminato che questa società fa dell'immaginario producendo senza sosta sogni americani, non serve forse allora a ribadire e rinforzare l'esistenza di questa storia e con essa l'esistenza e la legittimità della vicenda di un'intera nazione?

Giovanni Cenacci²


Rosie the Riveter (Rosy la Rivettatrice)
Norman Rockwell (Stati Uniti, 1894-1978), pittore e illustratore
olio su tela, riprodotto per il The Saturday Evening Post
Copertina del Post del 1943


Il trombettiere
Norman Rockwell (Stati Uniti, 1894-1978), pittore e illustratore
olio su tela, riprodotto per il The Saturday Evening Post
Copertina del Post del 1950

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₁ Giancola Alessandro (a cura di) - La moda nel consumo giovanile (in: Immaginari e consumo di moda, Giancola A., pp. 51-52); Ed. FrancoAngeli, 2008
₂ Norman Rockwel (in:"Norman Rickwell illustratore e artista: l'immagine e l'immaginario di sessant'anni di storia americana", p. 9); Ed. Electa, 1990


Denim on Denim (1970 circa)
Brian Stonehouse (Inghilterra, 1918-1998)
tempera, acquarello, carboncino e inchiostro e pennarello su carta rosa, cm 58 x 42


Brian Stonehouse ha dipinto con i suoi schizzi di moda, per riviste tra cui Vogue, Haper's Bazar ed Elizabeth Arden.


Ragazza in maglione rosso e jeans (1974)
Raphael Soyer * (1899-1987)
olio su tela, cm 53.34 x 71.12


* Artista nato in Russia da famiglia ebraica che nel 1912 a causa dell'oppressione è stata costretta ad emigrare negli Stati Uniti.


Dov'è il cuore (1999)
Benjamin Esposito (Inghilterra, 1971 - 2005)
olio su tela, cm 102.4 x 87
 
 
Il sonno non conosce etichetta: quando ti aggredisce così, puoi solo assecondarlo... Accade all'improvviso e a terra rimane il libro aperto su una pagina con illustrazione. "The Heart", il cuore. È una sala di attesa. La sedia non usuale farebbe pensare ad uno studio medico, ma potrebbe essere una clinica, un ospedale. Questa ragazza così rannicchiata alla ricerca forse di una posizione accettabile, durante la lunga attesa.
 
 
In Piazza San Marco
In Piazza San Marco (2006)
Marco Ortolan (Argentina, 1973 - )
olio su tela, cm 40 x 80


La nottata (2007)
Steven J. Levin (Stati Uniti, 1964- )
olio su tela, cm 73.7 x 91.4



Fine del viaggio allo sbarco (2011)
Hope Gangloff (Stati Uniti, 1974 - )
acrilico su tela, cm 137.16 x 205.74


Gangloff porta un arruffato, pensieroso giovane uomo in forte rilievo appiattendo il piano del quadro partendo dalla sua forma scura (abbigliamento) contro il verde pallido di una sedia. Le sue sproporzionate grandi mani hanno lo scopo di portare alla nostra attenzione la birra e la sigaretta, aumentando il senso del suo malessere, che si vuole tramettere. Ma la pallida tonalità delle nude membra servono ad evidenziare un altro contesto, con i loro eleganti contorni, appartenenti ad un bel ragazzo, che si concede alla vita ed ai suoi piccoli piaceri.



Blues [Azzurri], 2014
Colin Fraser (Glasgow, Scozia, 1956 -)
tempera all'uovo su tavola di gesso, cm 120 x 100



Si sistema la cravatta (2014)
David Tanner (Stati Uniti)
olio su tela, cm 60.96 x 45.72
 

Il telaio perso [A torso nudo], 2018
Konstantin Kacev (Uzbekistan, 1967- )
olio su tela, cm 110 x 80



Randagi (2019)
Carlo Piterà (1955 - ), pittore nato in Calabria ma che risiede a Genova dal 1956.
olio su tavola, cm 93 x 125



Dancing Jeans (2019)
Yeo Tze Yang (Singapore, Malesia, 1994 - )
olio su tela, cm 60 x 120


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