24 marzo 2025

COLORI ITALIANI l'identificazione di un colore a una città o zona è un fenomeno tipicamente italiano


È raro che una città o una zona siano identificate con un colore, è un fenomeno tipicamente italiano:

Terra di Siena, rosso Bologna, rosso Pompeiano, rosso Venezia o veneziano, giallo Parma, giallo Milano o “Maria Teresa”, giallo Napoli, verde Brentonico o ocra verde di Verona, e, nelle vicinanze, il giallo d'Istria (tra i golfi di Trieste e Fiume).

È importante che le città abbiano un
Piano Colore perché è l’espressione dell’identità del luogo che influisce positivamente sulla godibilità degli spazi pubblici e ne fanno apprezzare la bellezza. In Italia, il problema del colore delle città è fra i tanti un problema enorme, poiché sopravvivono ancora centinaia di migliaia di chilometri quadrati di intonaci, mattoni, decorazioni e colori antichi a cui è affidata la prima impressione dell’identità storica dei centri urbani.




Sono colori che ritroviamo anche nella moda, nei tessuti ed accessori. Le città qui raccontate indossano le loro creazioni e i loro colori non più in una strada ma in una passerella che rinnova il rito di trasmettere nuove emozioni.

La Terra di Siena naturale è un pigmento inorganico con composizione chimica simile a quella della terra d'ombra; da quest'ultima si differenzia per un minor contenuto di ossidi di manganese. Il suo particolare nome deriva dal fatto che veniva estratta nel medioevo nelle vicinanze della città di Siena (in una cava nella zona del Monte Amiata¹ e, più precisamente, a Bagnoli di Arcidosso); tale cava è stata attiva fino agli anni cinquanta del Novecento, e il pigmento così denominato viene ottenuto con opportune miscele di caolino e ossidi di ferro sintetici. La terra di Siena naturale è quindi una particolare ocra gialla² con tracce di biossido di manganese che le conferiscono la tipica tonalità giallo-dorato.

Calcinando la terra di Siena naturale si ottiene la cosiddetta terra di Siena bruciata che assume un colore rosso-cupo.

Questa nuance è stata ed è molto usata anche nella tintura dei tessuti e ampiamente utilizzata in tutto il settore moda sia nell'abbigliamento, che nelle calzature, che negli accessori. È un colore particolare ma che si abbina con molte altre tonalità, come il beige e alcune gradazioni del marrone, il bianco, il giallo, il rosso, con certe sfumature di verde e, naturalmente, anche con il nero.

1. Colore Terra di Siena naturale 
2. Colore Terra di Siena bruciata


Il “Rosso Bologna” lo ritroviamo già prevalente della Bologna medioevale, con testimonianze che risalgono ad un'epoca, quella tardo-cinquecentesca.   

“La creta, la selenite e l'arenaria. Di qui nasce il colore
“Rosso Bologna. Nei tramonti brucia torri e aria”. Roberto Roversi.

“Bologna [...] è bella per la carica, per l'abbondanza del colore; ed il colore che la satura è prevalentemente il rosso o il rossastro, il più fisico, quello che richiama di più al corpo ed al sangue umani. [...] Invece a Bologna i portici, gli archi, le cupole, tutto fa pensare ad una rotondità carnosa”. Guido Piovene, Viaggio in Italia, 1955

1. Colore rosso mattone per il portico della Cattedrale Metropolitana di Bologna
2. Paesaggio su Bologna - foto © Tinarelli Cristina


Il Rosso pompeiano³ era in realtà un "giallo" ed è tutto da scoprire. Il mito del famoso colore ricorrente nelle domus di Pompei e Ercolano più difficile da definire e non cessa di esistere. Una ricerca del fisico Sergio Omarini dell'Istituto nazionale di ottica del Cnr riscrive la tavolozza dell'archeologia. E ci ricorda che se vediamo tanto rosso nelle aree archeologiche campane è perché il "surge", il vento bollente del Vesuvio, micidiale gas dell'eruzione del 79 d.C., ha creato un fenomeno fisico di trasformazione. E in un bel po' di casi ha cambiato le pitture murarie a fondo giallo ocra in ocra rossa. Nelle case di Ercolano è facile verificare visivamente questo fenomeno: intorno a una crepa gialla si vede il rosso del gas fluito attraverso.

“Il rosso anticamente si otteneva con il cinabro, composto di mercurio, e dal minio, composto di piombo, pigmenti più rari e costosi, utilizzati soprattutto nei dipinti, oppure scaldando l'ocra gialla, una terra di facile reperibilità”, conclude il ricercatore. “Quest'ultimo effetto, descritto anticamente da Plinio e Vitruvio, si può percepire anche ad occhio nudo nelle fenditure che solcano le pareti rosse di Ercolano e Pompei”. 

Anche la ricercatrice italiana Daniela Daniele dello Statliche Museum di Berlino, già nel 2004 si accorse di una differenza tra la pittura ottenuta dal cinabro e il rosso pompeiano, che aveva una sfumatura "drammatica" ancor oggi non definita dal punto di vista colorimetrico.


1. Maschere pompeiane, con lo sfondo nel caratteristico rosso
2. affresco della "Villa dei Misteri" di Pompei


Il Rosso Venezia o veneziano è una pigmentazione luminosa e calda, tonalità leggermente più scura dello scarlatto. La prima volta che è stato usato il termine rosso veneziano per indicare tale tonalità di colore è stato nel 1753.

Rosso Venezia o veneziano

Damasco broccato - Venezia (1620-1640)
Su fondo in rosso veneziano,
emerge un motivo broccato a roselline damascate, realizzate con filo d'oro.
© Museo di Palazzo Mocenigo - Venezia


Il Giallo Parma” era prevalentemente utilizzato per le facciate dei palazzi fino alla fine degli anni '50 del Novecento; il risultato è che oggi il giallo e tutte le sue gradazioni è oggi il colore prevalente delle case del centro storico. I palazzi costruiti durante i Farnese mostravano già un ampio uso di giallo ocra (e rossi chiari), ma fu l'architetto francese Petitot che iniziò a dipingerli in un giallo dorato durante il restauro dei palazzi più importanti di Piazza Grande, l'attuale Piazza Garibaldi, nella seconda metà del XVIII secolo. Secondo la leggenda, ma potrebbe essere anche un "giallo", Petitot fu ispirato dai residenti di Strada Sant'Anna e Strada San Michele, che avevano dipinto le loro case di un giallo oro ispirati dal colore dei capelli di Isabella di Borbone, passata in quelle strade durante la processione per il suo matrimonio. 

1. Parma, interno del Parco Ducale
2. Casinetto Petitot, situato al centro di Piazzale Risorgimento a Parma   
caratteristico il colore "giallo Parma" delle facciate.


Giallo Milanoo Giallo Maria Teresa” (chiamato anche “Giallo Piermarini”, dal cognome dell'architetto Giuseppe Piermarini 1734-1808 che tra il 1777 e il 1780 fu impegnato nella costruzione della Villa Reale di Monza) è il colore di Milano, che non è grigia, o meglio bianca, come la “scighèra” (è un termine dialettale milanese che indica una nebbia molto intensa), che quando si alza la veletta si sposta e si mostra. Esiste davvero questo colore, «Ovvio, giald…», ed è qualcosa di cui i milanesi non di adozione vanno da sempre oltremodo fieri, e non è semplicemente uno di quegli aneddoti che si tramandano come leggende metropolitane, e non c’entrano nulla il risotto allo zafferano o il colore della della livrea delle “Carrelli” dei vecchi tram (fin dal 1928) meneghini, anzi, semmai, è il contrario. Questa particolare tonalità di giallo colore pastello prende il nome “Giallo Milano” perché si tratta del colore che venne scelto sul finire del Settecento, sotto il dominio austriaco di Maria Teresa, per dipingere le case della città. Il colore colorò le facciate solo verso il diciannovesimo secolo, infatti, era il colore preferito dal genio civile del primo reggimento d’Italia. Si rovinava di meno e aveva bisogno di una sola mano, un investimento estremamente favorevole per la casata d’Austria che voleva in ogni modo nascondere l’invecchiamento dell’intonaco bianco che si degradava estremamente in fretta a causa della fuliggine dei camini. Molti edifici mantengono tutt’ora il colore originale, ma non si tratta solo di abitazioni popolari e delle poche case di ringhiera ancora esistenti: fino al restauro del 1999 anche il Teatro alla Scala era dipinto di giallo (ma questo non era il colore originale), così come Palazzo Reale e la Pinacoteca Ambrosiana (che lo è ancora). All’inizio del Novecento, ogni casa popolare che si rispettasse veniva dipinta di Giallo Milano, proprio per ragioni economiche e storiche. Oggi, quel colore pastello si può trovare ancora con estrema facilità in giro per la città, basti solamente pensare alle case che si affacciano sul Naviglio Grande o sulla Martesana, dove gli edifici sono più vecchi.


Case di ringhiera

Livrea delle “Carrelli”, i vecchi tram (fin dal 1928) meneghini


Il Giallo Napoli è anche conosciuto come Giallo Egiziano, impiegato dagli egizi e babilonesi per le decorare le preziose ceramiche. Il suo pigmento deriva da una composizione chimica a base di piombo e antimonio. Presenta una tonalità chiara, tanto versatile da prestarsi alle sfumature più luminose e delicate. Il suo ripetuto utilizzo registra una longevità unica: anticamente creduto proveniente dal tufo che a Napoli ha da sempre conosciuto un uso corrente (basti pensare alla splendente doratura di Castel dell'Ovo).

Il giallo di Napoli è famoso in tutto il mondo soprattutto nell’arte per la sua qualità e versatilità, in grado di rendere le sfumature delicate e luminose, non a caso 🇬🇧 in inglese si chiama Naples yellow, 🇫🇷 in francese: jaune de Naples, 🇩🇪 in tedesco Neapelgelb, 🇪🇸 in spagnolo amarillo de Nápoles, e continua ad essere usato ed omaggiato a partire dall’arte stessa.

Giallo Napoli

Edward Berthelot
foto:
© Vogue Italia - 14 maggio 2020


La terra verde Brentonico (nota anche come “argilla veronese” o ocra verde di Verona) è un pigmento minerale inorganico naturale. Si tratta di una terra verde proveniente dalla zona di Verona, che si ottiene mediante depurazione e macinazione della materia prima. Come altre terre verdi nella storia dell'arte, fu utilizzata soprattutto durante il Medioevo e Rinascimento. Anticamente riservata ai nobili, oggi è molto ricercata in campo artistico per la caratteristica semitrasparenza.


Palazzo Eccheli Baisi a Brentonico, Trento
con il suo caratteristico verde


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Il territorio del Monte Amiata faceva parte della Repubblica di Siena in epoca medioevale, oggi inserita nella provincia di Grosseto.
₂  Ocra per le tonalità dorate e beige le più apprezzate sono a Siena, Grosseto, Cagliari e Verona. (Marina Nelli -
Quaderni del colori (Quaderno Giallo); Ed. Elpo, 2020, p. 12
Il “rosso pompeiano” nella catalogazione Pantone è il numero 1805, anche se dobbiamo dire che questa catalogazione per una tinta antica è impropria in quanto nel mondo antico la tinta unita è impossibile o difficilissimo produrla. (Riccardo Falcinelli, Cromorama; Ed. Einaudi, 2017, pp. 23-26).

Da il quotidiano "La Repubblica" il 16 settembre 2011. 
I Farnese sono una celebre famiglia italiana, Signori nel medioevo del ducato di Parma e Piacenza.
Ennemond-Alexandre Petitot (Lione, Francia, 1727 - Parma, Italia, 1801) architetto francese, fu chiamato alla corte di Parma dal duca Filippo di Borbone. Petitot, fra l'altro, ristrutturò la Reggia di Colorno e lavorò al Giardino Ducale di Parma; ideò il tempietto di Arcadia all'interno del parco (1757).  

❗ Per le foto riprodotte su questo post rimango a disposizione degli eventuali aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare.


Rames Gaiba
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Leggi anche:
  • PANTONE
    Sistema di identificazione del colore definito da un codice alfanumerico


17 marzo 2025

OMBRELLO

Ombrello - Dal latino medioevale umbrella (nel senso di umbraculum), diminutivo di umbra, ombra.


Oggetto oggi usato esclusivamente per ripararsi dalla pioggia, con copertura in stoffa resistente all'acqua, divisa in spicchi (normalmente a 8 spicchi), in modo da dargli aperto una forma di calotta sferica. Un tempo accessorio molto comune nell'abbigliamento, utilizzato anche in sostituzione del bastone da passeggio, adoperato durante il periodo della bella époque per difendersi dal sole (di qui il termine parasole).


È costituito dall'impugnatura, dalle stecche e dalla copertura. L'impugnatura (manico) oggi si costruisce generalmente in legno (ricoperto o meno di pelle) o metallo cromato o dorato, in varie fogge secondo la moda; essa si prolunga in un asta di metallo o legno più o meno lungo;
l’asta può anche essere retrattile, come quella presente negli ombrelli di dimensioni molto piccole (il meccanismo di apertura e/o chiusura viene attivato facilmente utilizzando un pulsante sull’impugnatura), ben calibrata e levigata perché vi possa scorrere liberamente il collare che unisce le bacchette; termina con il puntale per lo più di metallo. Le bacchette (o stecche) sono di ferro o di acciaio a sezione tonda o ad U e in ogni caso molto flessibili. A un estremo esse vengono imperniate sul collare e all'estremo opposto sono munite di un forellino che serve a fissare la stoffa di copertura. Alla metà circa delle stecche sono fissate a cerniera le forcelle, anche esse di metallo, che all'altra estremità vengono imperniate sul collare. Il numero delle stecche, e quindi delle forcelle, va da un minimo di 6 a un massimo di 24. La struttura e i punti laterali e pieghevoli, sono soprattutto in acciaio o alluminio a sezione a U, uniti all’asta con molle che servono per l’apertura e la chiusura dell’ombrello.

La copertura è eseguita con stoffe, generalmente, di taffetà di poliammide, poliestere, poliestere/cotone, cotone misto con seta in diverse proporzioni (tessuto leggero
gloria, a bassa percentuale di seta; royal al 20-25% di seta; tramé al 40-50% di seta). Dal tessuto si preparano tanti triangoli (in numero uguale a quello delle bacchette) leggermente curvilinei che vengono poi ricuciti fianco a fianco in modo che i vertici concorrono a uno stesso anello. Questo viene poi infilato sull'asta e fissato, mentre le basi dei singoli triangoli di stoffa vengono fissate alle punte delle bacchette. La copertura viene poi cucita spesso a mano sopra le parti di metallo.


foto: © 'Romance' (2006) - Metallo, legno e tessuto.
Yoan Capote, artista cubano nato nel 1977
 Simbolico, metaforico, ironico, irriverente e provocatorio.


L’ombrello tutt’oggi è ancora un oggetto costruito parzialmente a mano da operai e artigiani specializzati.





🇫🇷 Francese: Parapluie 🇬🇧 Inglese: Umbrella 🇩🇪 Tedesco: Schirm 🇪🇸 Spagnolo: Paraguas


Immagine tratta dal libro: A. Cattaneo, “Kib il fanciullo della foresta ed altri racconti”, Firenze, Nemi di C. Cherubini, con illustrazioni di Piero Bernardini.


Fuggire dalla pioggia in Piazza San Marco a Venezia
foto: © Paul Stoakes


STORIA - L'origine è legata al sole sereno, al sole sfolgorante; ce lo dice l'etimologia (ombra): quando nacque era il parasole, non il paracqua. La sua invenzione si perde nella notte dei tempi; in origine ebbe un significato soprattutto religioso, essendo simbolo di divinità e potenza. Come tale compare in rilievi assiri, in Egitto, in Cina. Inventato dagli egizi, per faraoni e gran sacerdoti durante le cerimonie religiose.¹ In Grecia fu attributo di molte divinità; ombrelli venivano portati nelle processioni di Poseidone, di Bacco, ecc. ad Atene. In seguito divenne soltanto segno di nobiltà, e oggetto di uso comune, più o meno lussuoso. Mentre sopravviveva nell'uso liturgico della Chiesa, solo verso il XV sec. si ritornò all'uso pratico dell'ombrello da sole o da pioggia, generalmente ricoperto di cuoio. I Gesuiti importarono poi dall'Estremo Oriente, l'uso di ricoprire gli ombrelli di seta leggera. Nel XVI secolo era realizzato in cuoio, quindi in tessuti sempre più leggeri fino all'arrivo delle delicate versioni in pizzo e tulle dell'Ottocento.²
Dal XVII sec. in poi l'ombrello, di fogge svariatissime secondo la moda, fu sempre in gran voga, come accessorio dell'abbigliamento femminile, talvolta di raffinata eleganza nell'impugnatura e nelle guarnizioni (pizzi, ricami in seta, piume, ecc.). La trasformazione in parapioggia si ebbe solo nell'800, con ombrelli in tela cerata, e strutture in canna, in legno, e anche in stecche di balena. 

Negli anni '20 del XX secolo era sempre coordinato al vestito, alle scarpe, al fazzoletto o alla borsa.¹ Alla fine del XIX secolo cominciarono ad apparire versioni disegnate appositamente per le donne. Negli anni 60' e '70 del XX secolo è divenuto un accessorio importante nella moda e ne sono state introdotte versioni in colori squillanti.²
Negli anni '60 del Novecento, compaiono i primi ombrelli in plastica colorata e in materiali sintetici.
² Nel 2019 è stato poi il turno degli ombrelli in tessuto trasparente.² Oggi, di linee di tendenza su questo indispensabile oggetto ne possiamo tracciare più di una: da modelli basici, monocromatici e preferibilmente neri o a sfondo nero con piccoli motivi di righe leggere o piccoli , da abbinare ad ogni look, a quelli più cromatici a fantasia, più indicati nell'abbigliamento femminile.

Fino al secolo scorso il modello più comune prevedeva un lungo manico rigido: oggi, si preferisce la versione pieghevole, in quanto facilmente riponibile. L’ombrello con manico lungo è diventato un anacronismo, eccezion fatta per le occasioni più eleganti. Fra gli intramontabili, unisex, il modello classico di Burberry, con il motivo a scacchi diventato simbolo della Maison.

⛔ Possono essere, anche “un cartellone pubblicitario ambulante” ma non fa fashion e portatevelo con voi solo per le emergenze, non avendone a disposizione altro.  


L’evoluzione di questo oggetto dalla sua introduzione in Europa fino ad oggi
  • Nel 1700 Jean Marius, un mercante parigino realizzò il primo ombrello pieghevole in Europa. 
  • Nel 1700 Caterina de Medici giunse alla corte francese con un parasole nel bagaglio e rendendo popolare questo strumento, simile ad un ombrello moderno.  
  • Nel 1700 Jonas Hanway, un viaggiatore e scrittore fu tra i primi ad utilizzare l’ombrello per proteggersi dalla pioggia in Gran Bretagna rendendo questo oggetto popolare anche tra gli uomini. Fino ad allora infatti lo utilizzavano esclusivamente le donne per proteggersi dal sole. 
  • Nel 1800 venne aperto a Londra “James Smith and Sons”, il primo negozio specializzato nella vendita di ombrelli. 
  • Nel 1852 l’industriale e uomo di affari Samuel Fox, brevettò un’intelaiatura di stecche di acciaio arcuate a sezione a U per la fabbricazione dei punti laterali e pieghevoli che permettevano una perfetta chiusura dell’ombrello, oltre a renderlo più leggero. Prima tutti gli ombrelli erano costruiti con canna di bambù, legno o con osso di balena.
  • Nel 1928 Hans Haupt, un ufficiale dell’esercito imperiale inventò l’ombrello pieghevole tascabile con telaio in acciaio a chiusura telescopica, che poteva essere riposto comodamente nella tasca del cappotto ed era sempre pronto per l’uso in caso di pioggia che chiamò con il nomignolo tedesco knirpsche significa piccolino” o anche ragazzino. In Austria veniva anche chiamato “Flirt”. Fu prodotto dalla ditta Bremshey & Co. che riconobbe il potenziale commerciale dell'articolo e iniziò una prima produzione industriale.
  • Nel 1939 viene fondato a Gignese (🇮🇹 provincia del Verbano-Cusio-Ossola, in Piemonte) il Museo dell'Ombrello e del Parasole.
  • Nel 1969 Bradford E. Phillips, proprietario della “Totes Incorporated of Loveland, Ohio” ottenne il brevetto dell’ombrello automatico pieghevole, quello che usiamo ancora oggi.
 
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Guido Vergani - Dizionario della Moda (edizione 2010) - Ed. Baldini Castoldi Dalai, 2009, voce "Ombrello", p. 885 
Georgina O'Hara - Il Dizionario della Moda - Ed. Zanichelli, 1990 voce "Ombrello" p. 243


Issey Miyake: Aya Takano autunno/inverno 2004 Design: Naoki Takizawa — ombrello 'luna'


La linea semplice vince a San Siro (1959)
Brunetta [Brunetta Moretti *], (1904-1989)
tempera e china su carta, 35.6 x 24.7 cm


[*] Brunetta, come è più conosciuta, è stata una pittrice e illustratrice di moda. Disegno per la copertina dell'inserto «Il Giorno della donna» pubblicato ne «Il Giorno» del 8/4/1959. Dalla sua ammirazione per Matisse ricavò le tinte piatte e vivaci che descrivono immediatamente il modello. Tempera, pennarello e china erano le sue tecniche preferite. [Georgina O'Hara - Il Dizionario della Moda - Ed. Zanichelli, 1990, voce "Brunetta", pp. 45-46]

CURIOSITÀ - In alcune regioni dei Balcani gli sposi si presentano alla cerimonia con due grandi ombrelli: la sposa terrà il suo per il puntale, lo sposo normalmente per il manico.

RIFERIMENTO LETTERARIO - Avete mai notato il manico dell'ombrello di Mary Poppins?  

Sicuramente è molto appariscente, perché non ha la forma solita (dritta o ricurva), ma è configurato come la testa di un pappagallo.
“Così Mary Poppins infilò i suoi guanti bianchi e mise l'ombrello sotto braccio, non perché piovesse, ma perché aveva un così bel manico che era impossibile lasciarlo a casa.
Come potreste voi lasciare a casa l'ombrello se avesse per manico una testa di Pappagallo?”
Mary Poppins è molto soddisfatta di sé e del suo abbigliamento, tanto che, spesso, sente il bisogno di ammirarsi:
“Si fermò presso un'automobile vuota per mettersi dritto il cappello, specchiandosi nel vetro dello sportello, si assestò la camicetta e rialzò l'ombrello sotto il braccio in modo che il manico, o piuttosto il pappagallo, potesse essere veduto da tutti.”



Da queste narrazioni, nel 1964, fu tratto il film Mary Poppins, diretto da Robert Stevenson e interpretato da Julia Andrew. Nel 2004 vi fu la trasposizione in musical sempre con il medesimo titolo (produzione Disney e Mackintosh).


Mary Poppins - video scena finale.


Il personaggio vive nelle narrazioni di Pamela Lyndon Travers (pseudonimo di Helen Lyndon Goff). Il primo romanzo Mary Poppins è del 1935; ne furono pubblicati poi, fino al 1988, altri sette volumi.

L'edizione italiana, ediita da Bompiani nel 1965, è in quattro volumi: Mary Poppins, Mary Poppins ritorna, Mary Poppins apre la porta, Mary Poppins nel parco.



 
Trovo il film, il personaggio e tutto quello che gli gira intorno, meraviglioso... Ma non avevo mai capito i retroscena, il sottotesto che ne fa un capolavoro... mi ha aiutato il film "Saving Mr. Banks", sorprendente che consiglio a tutti...Leggi qui.


Rames Gaiba
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10 marzo 2025

BOTTONE

Bottone - Dal francese medioevale bouton, che a sua volta deriva dal germanico botan, originariamente, germoglio, bocciolo.

Piccolo dischetto o pomolo di materiale vario che cucito a un lembo di un capo di vestiario viene infilato nell'asola per tenere unita l'allacciatura (rare volte è usato solo come elemento decorativo, soprattutto negli abiti femminili). Ha subito nei tempi tutti i mutamenti della moda assumendo diverse fogge, a volte di forma importante e materiale prezioso, altre di piccole dimensioni e di materia povera. Bisogna fare molta attenzione nella scelta: se sono troppo pesanti rispetto al tessuto possono tirarlo. Per stoffe di peso leggero o medio è meglio usare modelli leggeri e piatti.

I bottoni possono essere di materiali diversi, e sono lavorati con una tecnica speciale per ognuno di essi (tornitura, stampatura, foratura, ecc.). Molto importanti risultano le finiture che possono essere differenti anche sullo stesso articolo (esempio: centro opaco e bordo lucido). Le incisioni laser in superficie concorrono alla personalizzazione dell'articolo che, con questa tecnica, s'impreziosisce del logo o di un motivo a richiesta del cliente. Il laser rappresenta proprio una delle tecnologie più recenti che ha una resa di altissimo livello specialmente su materiali naturali (corozo, madreperla, ecc.), galalite, metallo.

🇫🇷 Francese: Bouton
🇬🇧 Inglese: Button
🇩🇪
Tedesco: Knopf
🇪🇸 Spagnolo: Boton

Si dividono in:

Bottoni naturali - Animali: avorio, osso, corno, unghia, madreperla,  trocas, tartaruga, corallo, ambra, cuoio (tassativamente sui loden), ecc.; Vegetali: ebano, mogano, tek, corozo, palma dum, tessuti, cartoni pressati, gavazzo o legno fossile, ecc.;   Minerali: oro, argento, rame, bronzo, peltro, platino, alluminio, ottone, alpacca,  zama,  tombacco, similoro, vermelle, latta, acciaio inossidabile, pietre dure, semipreziose, vetro, cristallo, porcellana, ecc.

Bottoni sintetici (resine) - Il bottone sintetico è quello con la maggiore diffusione sul mercato, e permette di imitare qualsiasi tipo di superficie da quelli naturali fino a quelle fantasia con giochi di colore ed effetti grafici. Si tratta di materiali che presentano una straordinaria predisposizione a una produzione in serie (meccanizzazione della manifattura), facili anche da tingere. I materiali di base vengono preparati in lastre o barre, che sono le basi del ciclo di lavorazione. In seguito dalle lastre e dalle barre vengono tagliate le rondelle o dischetti di vario diametro (semilavorato) e infine si arriva al bottone finito. Il principale materiale è il poliestere, la galalite, resine uriche, ABS nylon, acrilico, ecc. Molti di questi materiali hanno un costo medio-basso.

I bottoni piatti sono spesso forati (2 o 4 fori) per permettere il passaggio del filo con cui vengono cuciti all'indumento. Quelli di metallo sono provvisti di un gambo in cui passa il filo.

Altri tipi di bottone sono:
  • Bottone da passamaneria - Hanno un fondello interno (in metallo stampato o in legno ritagliato e tornito) ricoperto di stoffa.

🇫🇷 Francese: Bouton revetu de tissu
🇬🇧
Inglese: Fabric convered button
🇩🇪 Tedesco: Stoffbezogener knopf
🇪🇸 Spagnolo: Boton forrado de tela

  • Bottone a pressione - Consiste in due sezioni: la parte esterna del bottone (ovvero la testa dello stesso, che è quello sulla calotta e che si presta alla personalizzazione) si fissa con l'occhiello; la parte interna penetra nel tessuto dall'interno del vestito e viene fissato nel gambo del bottone per mezzo di una macchina speciale. Non ci sono fili che si disfano o vengono abrasi e la larga base di tenuta distribuisce il carico che viene posto al bottone quando viene usato. Le due parti possono essere di ottone o acciaio e il bottone può avere un disegno decorativo o logotipo, ma deve resistere alla ruggine. Una volta attaccati al capo, non possono essere spostati e così è importante che il posizionamento sia molto accurato. Il tessuto del vestito deve essere sufficientemente forte per sostenere lo stress al quale un simile bottone sarà soggetto, con l'aggiunta di un rinforzo se necessario. È realizzato con i materiali più diversi, dal classico ottone, alla zama, dalla plastica all'alluminio; l'acciaio inox si utilizza invece sui capi da lavoro (esempio: personale ospedaliero, addetti all'industria chimica).

🇫🇷 Francese: Bouton à pression
🇬🇧 Inglese: Snap fastener | Spring button
🇩🇪 Tedesco: Druckknopf 
🇪🇸 Spagnolo: Corchete a presion | Boton a presion

  • Bottone automatico - Gli automatici o borchie sono disponibili in una varietà di forme, ma tutte sono composte da quattro elementi: un cappuccio e uno zoccolo che si adattano l'un l'altro e formano la parte esterna della chiusura, denominata «femmina», poi un bottoncino e un sostegno che formano la parte interna della chiusura, denominata «maschio», che normalmente non si vede quando il vestito è chiuso. Il cappuccio e il sostegno possono consistere anche di anelli dentati, quando questa chiusura viene usata in abiti di peso leggero, per applicazioni non decorative. Le chiusure ad anello sono le uniche adatte per essere usate sui tessuti a maglia. Questi tipi sono usate nella pelletteria, biancheria per la casa, ma anche in abbinamento ad alcuni tipi di indumenti per l'infanzia (tutine per bambini e pigiami), soprattutto per la rapidità, praticità e sicurezza del tipo di allacciatura, e sono progettati per evitare di forare il tessuto con grandi fori. Le rotture di solito si verificano per il metodo di applicazione piuttosto che per i difetti del bottone automatico. Essi non dovrebbero mai essere attaccati attraverso un solo strato di materiale, ma bisognerebbe usare un tessuto di rinforzo sul rovescio, specialmente con i tessuti a maglia. La misura usata deve essere adatta allo spessore e al peso del tessuto.

🇫🇷 Francese: Bouton brevet
🇬🇧
Inglese: patent button 
🇩🇪
Tedesco: Pateniknopf
🇪🇸 Spagnolo: boton automatico


Jeremy Scott per Moschino - stagione P/E 2015

L'unità di misura di questi accessori è il lineato (deriva dalla parola francese ligne, che indica il diametro interno d'uno stoppino rotondo appiattito), che si riferisce al diametro del bottone, e la sua unità di misura internazionale è il quarantesimo di pollice (0,63525 mm) ed è espresso in mm (un lineato 40 sarà quindi un bottone dal diametro di un pollice esatto, e cioè 25,41 mm). I bottonifici tedeschi la usavano come misura di riferimento agli inizi del XVIII secolo e oggi è diventata lo standard internazionale. I bottoni possono essere di tutte le dimensioni, da un minimo di 4 mm a veri propri maxi ricordando nelle misure quelli dei "piatti da tavola". I modelli a due o quattro fori e le misure standard permisero la meccanizzazione del processo di applicazione dei bottoni e della cucitura delle asole, abbassando i costi e velocizzando la produzione.






Misure comuni dei bottoni
Lineato (Lin.)
|
Ø mm. 

14 | 8,9 16 | 10,2  18 | 11,4 20  | 12,7  -  22  | 14 24 | 15,3  - 28 | 17,8  -  30 | 19 - 32 | 20,3  - 34 | 21  
36
| 22,9  -  40 | 25,4 44 | 27,9  -  60 |
38

L'unità di misura di confezione dei bottoni è la grossa equivalente a 144 bottoni.
I bottoni al fondo manica delle giacche sono a volte cuciti leggermente sovrapposti, secondo i dettami della sartoria più raffinata.

Sono equiparabili ai bottoni i gemelli,  costituiti da due parti, piatte o tondeggianti, che si infilano nell'asola dei polsini della camicia per tenerli ravvicinati.

STORIA - Ignoti nell'antichità classica se non come ornamenti, i bottoni nella loro attuale funzione, appaiono nel XIII sec. insieme con gli abiti attillati. Furono dapprima di materie preziose, ma anche di ottone e di rame. Manifatture di bottoni sorsero in Inghilterra alla fine del XVII sec., soprattutto quelli in lega metallica. Le divise militari si sono sempre fregiate di bottoni di metallo. Il secolo d'oro del bottone è il Settecento. Gli storici del costume hanno individuato tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento un periodo particolarmente vivace e fortunato per il bottone, le cui forme e applicazioni, grazie ai progressi tecnologici intervenuti nel settore, furono soggette a ulteriore incremento.¹ 

La moda aveva parallelamente contribuito a incentivare una maggiore declinazione del prodotto al femminile. Prima il bottone ha riguardato quasi esclusivamente l'abbigliamento maschile, che se ne fregiava in lunghe file sia in corrispondenza delle aperture anteriori delle marsine, sia sulle maniche, sia sulle tasche, fino, talora, a superare il numero di ventiquattro esemplari su un solo capo, mentre alle donne, cui i bottoni erano in molti casi proibiti, erano riservati lacci e ganci per chiudere le vesti.
Nasce in questo periodo la distinzione fra le abbottonature per la donna e quelle per l'uomo, che viene così codificata: per l'uomo, infatti per una questione di comodità, che doveva sempre e in ogni caso avere la mano destra libera per ogni evenienza difensiva e offensiva, l'abbottonatura si usa ancora sormontata da sinistra, mentre per la donna, che aveva comunque le mani libere da impegni d'arme, si allaccia da destra a sinistra.² 

Tra la seconda metà dell'Ottocento e nel corso del Novecento la manifattura italiana di questi prodotti raggiunge un primato d'eccellenza, affermandosi nettamente sul mercato internazionale. In Italia oggi la produzione è concentrata nel centro-nord, soprattutto nel cosiddetto «distretto del bottone», localizzato tra le provincie di Brescia e Bergamo, che però negli ultimi decenni del Novecento ha perso il primato della quantità per la concorrenza esercitata dai paesi orientali su alcuni tipi di prodotto, in particolare su quelli a basso valore aggiunto. Nel corso degli ultimi vent'anni si è registrato un ridimensionamento nel numero delle attività volte alla produzione di accessori di allacciatura all'interno del distretto. 


Barbara Bettoni -  Da gioielli ad accessori alla moda; op. cit. p. 145 
₂ Vittoria de Buzzaccarini | Isabella Zotti Minici - Bottoni & bottoni; op. cit., p. 29 

CURIOSITÀ - Il collezionismo di bottoni è tradizionalmente una prerogativa del mondo anglosassone. Si conoscono bottoni che rappresentano paesaggi e figure, talora dipinti da illustri pittori, che non disdegnavano questa attività come mezzo di sostentamento; altri in metallo e pietre preziose che li rendono simili a gioielli, altri in strass, malto o porcellana. Vi sono bottoni che rappresentano figure classiche, eseguiti nei materiali più vari, dalla ceramica alle conchiglie, alle pietre dure. Alcuni bottoni hanno immagini che sono veri e propri manifesti politici, come quelli che inneggiano ai personaggi del Risorgimento italiano.

LETTERATURA - La prima registrazione scritta risale al XX secolo, nella Chanson de Roland, che cita testualmente conseils d'orgueil ne vaut nie un boton, laddove si ricorda che nel Medioevo il bottone stava a significare cosa piccola e di minimo valore. 


     


I futuristi si occupano molto di moda, e nel manifesto Il vestito antineutrale di Giacomo Balla il bottone ne è assoluto protagonista.


Bibliografia:
  • Vittoria de Buzzaccarini | Isabella Zotti Minici -  Bottoni & bottoni; Ed. Zanfi, 1995
  • Giorgio Gallavotti - Bottoni: arte, moda, costume, società, seduzione, storia; Ed. Maggioli, 2006
  • Barbara Bettoni - Da gioielli ad accessori alla moda. Tradizione e innovazione nella manifattura del bottone in Italia dal tardo Medioevo a oggi; Ed. Marsilio, 2013


Rames Gaiba
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